Paolo Di Nella. Roma 09.02.1983

 

 
Roma 09.02.1983 – Negli anni Ottanta, il clima politico andava lentamente cambiando, l’ondata devastante della violenza di piazza degli anni Settanta andava sempre più esaurendosi. Le aggressioni, gli agguati e i pestaggi di diradarono anche se non scomparvero del tutto. Gianni Alemanno e Paolo Di Nella erano amici per la pelle. Si conobbero nel Fronte della Gioventù e iniziarono a far politica in una porzione di Roma che in quegli anni era ancora una marca di confine. Un grande spartiacque, il Trieste – Salario, fra la Roma rossa e la Roma nera. Gianni Alemanno era iscritto al Liceo Scientifico Righi, Paolo Di Nella, invece, era iscritto al Liceo Scientifico Avogadro fino al 1981, quando fu costretto a trasferirsi in un istituto privato a seguito di alcune minacce ricevute per la sua attività politica. Gianni Alemanno era Dirigente romano del Fronte, legato all’ala rautiana, Paolo Di Nella, venti anni, era radicale, antisistema, tradizionalista, antinuclearista, intransigente, molto più critico dell’amico. Portava gli occhiali da vista, con montatura d’acciaio a goccia, i capelli sorprendentemente lunghi e i baffi. Leggeva molto, ascoltava il rock identitario ed era appassionato per le canzoni di Massimo Morsello. Gianni Alemanno e Paolo Di Nella erano insieme quando nel giugno del 1979 fu ucciso Francesco Cecchin, e sempre insieme si erano ritrovati a Nusco, in Irpinia, dove Francesco fu sepolto, per un gesto simbolico. Intanto le identità, i linguaggi e i simboli stavano per trasformarsi. I primi anni del 1980, il Fronte della Gioventù non era più quello dei primi anni del 1970. Non era un’organizzazione granitica, assediata e chiusa in un ghetto. Era un’organizzazione che cambiava faccia e mutava la struttura organizzativa per articolarsi alla nuova realtà. Nacquero Fare Fronte e Fare Verde che raccolsero rispettivamente le organizzazioni studentesche e l’anima ecologista del Fronte. I nuovi missini cercarono di mettere in soffitta i labari e i gagliardetti della Repubblica Sociale Italiana per iniziare a recuperare molte delle parole d’ordine che provenivano da Terza Posizione. In quel Fronte trovò spazio anche Paolo Di Nella e la sua piccola e personale guerra santa. La riapertura di una villa abbandonata nel quartiere africano. Villa Chigi, era inaccessibile, degradata, un intreccio di sterpi e siringhe gettate dai tossici del quartiere. Per Paolo Di Nella, quell’impegno, divenne una bandiera e una battaglia personale. I manifesti lì disegnava con il pennello e la vernice nera sul retro di quelli già stampati, sul pavimento della sezione di via Somma campagna. Il 2 febbraio del 1983, Paolo Di Nella decise di iniziare l’affissione per le strade della città. L’invito era rivolto a tutti i giovani militanti della sezione. Molti decisero di non seguirlo, presi da cose più grandi e importanti, tranne, però, Daniela Bertani, venti anni. I due uscirono dalla sede del Fronte della Gioventù insieme, intorno alle nove di sera. Salirono sulla Fiat centoventisette e girarono per il quartiere Trieste – Salario. All’inizio tutto sembrava tranquillo. Iniziarono ad attaccare i primi manifesti proprio da Piazza Vescovio, dove era caduto Francesco Cecchin, per poi continuare sui muri abbandonati di Villa Chigi e dirigendosi verso viale Somalia. Un primo segnale sospetto arrivò in quel punto della serata. Due ragazzi su un ciclomotore fissarono i due missini costantemente. Ma arrivati all’incrocio tra viale Somalia e Piazza Gondar, Paolo Di Nella e Daniela Bertani, notarono altre due persone, dall’aspetto trasandato. Paolo Di Nella continuò a fare il suo lavoro, prima all’altezza del bar Motta, poi attraversando la strada e dirigendosi verso uno spartitraffico dove vi era un tabellone pubblicitario, mentre Daniela Bertani era in macchina ad aspettarlo. E lì che successe tutto. Davanti alla fermata dell’autobus trentotto, due giovani. Il primo indossava un piumino di colore rosso, il secondo, invece, azzurro. Mentre Paolo Di Nella era di spalle per mettere la colla sul tabellone, uno dei due, prese la rincorsa e lo colpi violentemente alla testa con un corpo contundente, fuggendo poi a piedi. Paolo Di Nella si piegò sulle gambe come se per un attimo fosse stata tolta la corrente dal suo generatore interno. Ma riuscì comunque a raggiungere la macchina. Dopo un po’ si fermarono nei pressi di una fontanella e mentre Paolo Di Nella si bagnava la testa, le sue mani erano sporche di sangue. La ferita proveniva dietro l’orecchio. A quel punto era necessario il trasporto in ospedale ma Paolo Di Nella rifiutò fermamente. Mentre Daniela Bertani lasciava l’amico davanti al portone di casa e riprendeva la strada per viale Libia, vide che tutti i manifesti che avevano attaccato erano stati strappati. Durante la notte, Paolo Di Nella, non riuscì a dormire. Si agitava. Prima andò in bagno per rinfrescarsi, poi girò per casa senza trovare pace. I genitori sentirono i rumori, si svegliarono e videro i vestiti macchiati di sangue. Solo in quel momento capirono che era successo qualcosa di grave. Già durante il trasporto in ambulanza, Paolo Di Nella, entrò in coma. Aveva un grosso ematoma interno. Ricoverato al Policlinico Umberto I fu operato d’urgenza. Rimosso l’ematoma, gli fu asportato quello che era rimasto dell’osso temporale, letteralmente frantumato. In realtà Paolo Di Nella fu colpito al di sopra dell’orecchio, nella zona posteriore del cranio. L’arteria meningea fu compromessa dalla frattura che si estese subito dopo il colpo ricevuto. Furono sei lunghi giorni di agonia, la sua vita era già compromessa, dal terzo giorno, Paolo Di Nella, sprofondò in coma di quinto grado e fu mantenuto in vita artificialmente. Per la prima volta, in questi giorni, arrivarono dei segnali importanti e diversi. Non più una comunità assediata che piangeva il proprio lutto, ma una parte politica che riceveva solidarietà un tempo nemmeno immaginabile. La visita del Sindaco della Capitale, Ugo Vetere, iscritto al Partito Comunista; il telegramma di solidarietà alla famiglia Di Nella da parte del Segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, e la visita in ospedale del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Al capezzale di un giovane fascista in agonia giunse il Presidente partigiano. Il 9 febbraio del 1983 alle ore venti il cuore di Paolo Di Nella smise di battere. Tre giorni dopo, il 12 febbraio, si svolsero i solenni funerali nella chiesa di San Saturnino. Oltre ai militanti e amici anche molti cittadini dalle più svariate idee politiche, come Marco Pannella. Quando il feretro arrivò a spalla fino al carro funebre, dalla bara fu tolta la bandiera tricolore, ma sotto vi era un’altra bandiera quella con la croce celtica del Fronte della Gioventù. Mentre la salma di Paolo Di Nella veniva tumulata al cimitero di Verano, circa trecento – quattrocento giovani missini giunsero sul posto dell’agguato. I partecipanti depositarono un mazzo di fiori davanti a un lungo striscione murale e dopo alcuni minuti di raccoglimento e una breve commemorazione, il corteo si sciolse senza alcun incidente. Il volantino di rivendicazione dell’agguato, firmato da Autonomia Operaia, fu ritrovato il 14 febbraio in una cabina telefonica di Piazza Gondar, a pochissimi metri dove Paolo Di Nella fu aggredito, dopo una telefonata al centotredici. Intanto la squadra politica della Digos iniziò le indagini proprio da alcuni informatori. Quest’ultimi dubitarono della deposizione di Daniela Bertani e la polizia decise di frugare nei tabulati delle intercettazioni. Ma gli inquirenti trovarono solo lacrime e dolore. Le indagini si concentrarono su due giovani dell’area di autonomia, Corrado Quarra e Luca Baldassarri. I sospetti non trovarono riscontro fino a quando, quindi giorni dopo la morte di Paolo Di Nella, il 24 febbraio, i due extraparlamentari di sinistra abbandonarono la città e gli inquirenti spiccarono due mandati di arresto con l’accusa di omicidio e latitanza. Corrado Quarra si nascose a Subiaco, un paesino vicino Roma, in casa di una zia. Quando la polizia arrivò con il mandato, Corrado Quarra, riuscì a fuggire dalla finestra. Ma la notte tra il primo e il 2 agosto del 1983, in Piazza Risorgimento, a Roma, fu fermato da un posto di blocco della polizia e portato in Questura. Una volta interrogato il sospettato, fu allestito un confronto all’americana. In causa, fu chiamata l’unica testimone oculare, Daniela Bertani, per l’identificazione di uno dei due aggressori. Al di là del vetro, quattro ragazzi, senza esitazione, Daniela Bertani, riuscì a individuare Corrado Quarra. In seguito alle intercettazioni, alla doppia fuga, alla latitanza e al riconoscimento della Bertani, il giudice Santacroce emise il mandato di cattura nei confronti di Corrado Quarra con l’accusa di tentato omicidio. Il 4 novembre del 1983 un nuovo colpo di scena. Daniela Bertani, per la seconda volta, si trovò davanti a uno specchio per il riconoscimento di Luca Baldassarri. Ma sbagliò, individuando una delle tre comparse. Infatti la controfigura di Luca Baldassarri non fu selezionata dagli inquirenti ma dalla difesa di Baldassarre. Allora anche il primo riconoscimento non doveva essere considerato valido. E cosi fu. Il 29 dicembre del 1983, il giudice istruttore Calabria, decise di mettere in libertà Corrado Quarra. A nulla servirono le proteste degli avvocati della famiglia Di Nella. Nell’aprile del 1986, a tre anni dalla morte di Paolo Di Nella, Corrado Quarra fu completamente prosciolto dall’accusa di omicidio. In quel periodo fu sottoposto solo all’obbligo della firma in commissariato senza essere più compiuta nessuna indagine su di lui. Finalmente, nell’ottobre del 2005, il sogno di Paolo Di Nella si realizzò. Villa Chigi, splendente e fiorita, fu restituita al quartiere per dare ossigeno alla città assediata dal traffico.