LA CASSAZIONE SALVA I BLOG: “non sono stampa clandestina”

 

La Corte Suprema di Cassazione ha salvato i blog, stabilendo che “I blog non sono soggetti alla legge sull’editoria, quindi non hanno obbligo di registrazione e ancora meno possono essere considerati stampa clandestina.” Se fosse stata confermata la condanna a carico del blogger-giornalista Carlo Ruta – condannato per stampa clandestina perché titolare di un blog non registrato come previsto per le testate giornalistiche – QUANTO STABILITO AVREBBE INFATTI “CREATO UN PRECEDENTE” RIGUARDANDO COSI’ TUTTI I BLOG! 

La Cassazione ha quindi tutelato il DIRITTO DI ESISTERE dei BLOG e con essi la LIBERTA’ DI PENSIERO e di ESPRESSIONE DEI CITTADINI…

Il 29 Aprile, commentando la sentenza della Cassazione che ha sancito che la retta delle R.S.A. per i malati di Alzheimer dovesse essere a carico dei Comuni e non delle famiglie, avevamo elogiato questa Istituzione, rilevando come spesso essa si esprima A FAVORE DEI CITTADINI: anche questa volta non ci ha deluso! 

I blog sono salvi (per ora…) ma la vera minaccia è rappresentata dai partiti e dal governo, tecnici compresi (vedi “La Ministra Severino contro i blog con motivazioni degne di un bambino”)

 

Lo staff del BLOG nocensura.com

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di seguito l’articolo di tomshw.it

La Cassazione ha confermato nuovamente la differenza tra blog e testate giornalistiche. Il caso del sito “Accade in Sicilia” è chiave: il gestore era stato condannato per reato di stampa clandestina solo perché faceva informazione, occupandosi di casi di Mafia.

I blog non sono soggetti alla legge sull’editoria, quindi non hanno obbligo di registrazione e ancora meno possono essere considerati stampa clandestina. Ieri la terza sezione della Cassazione ha messo fine a una querelle legale iniziata quattro anni fa con la condanna per il reato di stampa clandestina a carico del blogger giornalista Carlo Ruta. 

Nel 2008 il tribunale di Modica e nel 2011 la Corte di appello di Catania avevano ritenuto che il blog “Accade in Sicilia”, specializzato nell’occuparsi di notizie di Mafia, avesse superato i confini della legalità. La querela di un Magistrato, tirato in ballo da qualche articolo un po’ troppo pungente, forse aveva contribuito a far peggiorare la situazione.

In ogni caso “il tribunale di Modica aveva ritenuto in primo grado che il blog del saggista fosse una vera e proprio testata giornalistica, e che, pertanto, da un lato dovesse considerarsi prodotto editoriale secondo quanto previsto dalla legge nl. 62/2001 dall’altro, proprio in quanto stampa periodica, dovesse essere registrato presso il Tribunale competente”, come spiega l’avvocato IT Fulvio Sarzana.  

 

La Cassazione è ritornata all’interpretazione della normativa vigente e allo spirito della stessa. Non a caso lo stesso difensore di Ruta ha svelato durante l’arringa “di aver ricevuto una comunicazione dall’On. Giuseppe Giulietti, relatore della norma sull’editoria del 2001, che gli avrebbe confermato che i blog non rientrano, né intendevano essere inclusi, nella nozione di prodotto editoriale”.

L’evidenza era nella stessa relazione preparatoria alla legge sull’editoria, che chiaramente fa differenza tra prodotti editoriali, con tutte le conseguenze giuridiche del caso, e altre forme di espressione. Immaginare che i blog siano equiparabili a testate giornalistiche, insomma, era parsa una cosa illogica fin dai primi passi della vicenda.

“In casi precedenti la Cassazione ha sempre respinto l’equiparazione tra sito internet (sia pure a carattere informativo) e stampa tradizionale, rilevando l’assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media”, ha commentato l’avv. Marco Scialdone, responsabile del Team Legale di Agorà Digitale. “C’è poi, secondo la Cassazione, un dato letterale insormontabile: la legge fa riferimento al concetto di stampa, concetto nel quale non può essere ricompresa l’informazione on-line”.

“Purtroppo anche i tribunali sono stati spesso incapaci di applicare ad Internet delle normative che risultano oggettivamente antiquate. Non solo siamo sollevati che la Cassazione abbia respinto l’ennesimo miope tentativo di assoggettare la rete alle regole della carta stampata, ma crediamo che processi come quello di Carlo Ruta dimostrino l’urgenza che la politica italiana realizzi in modo inequivocabile riforme a favore di nuove modalità di creazione, pubblicazione e circolazione di contenuti”, ha aggiunto Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale.

“Non è solo il ritardo della politica a condannare il paese ma anche i tribunali che continuano ad applicare vecchie normative ad Internet hanno una enorme responsabilità in questo senso”.

“Anticipo zero, interessi zero”… Tutto vero? Le insidie degli acquisti a rate e le 5 regole d’oro per tutelarsi

Dall’auto alla lavatrice, dal pc al divano. L’Italia bocciata nel credito al consumo: parole da brochure e reticenze sulle condizioni reali dell’accordo. Le regole per un acquisto a rate sicuro

Ecco 5 regole d’oro da tenere presenti se si vuole chiedere un finanziamento per un acquisto:

  1. Attenti al soggetto che eroga il prestito: può essere una banca o una società finanziaria. In ogni caso deve essere un intermediario autorizzato dalla Banca d’Italia (l’elenco è consultabile sul sito di Bankitalia, www.bancaditalia.it/vigilanza/regolamentati).
  2. Non firmare nulla senza avere prima ricevuto e letto il contratto e il modulo Ebic (European basic information consumers’ credit) che riporta in dettaglio costi e spese, deve contenere il Taeg esatto e idiritti del cliente.
  3. Se si cambia  idea dopo aver firmato la legge concede 14 giorni per recedere senza nessuna spesa(tranne l’imposta di bollo). Il recesso va comunicato per iscritto al finanziatore e nei 30 giorni successivi va restituito il capitale (con gli interessi maturati solo fino a quella data).
  4. In caso di problemi va inviato un reclamo scritto (anche via email) alla banca o alla finanziaria che ha erogato il prestito. Se dopo 30 giorni dall’invio non si riceve risposta o se la risposta non è soddisfacente si può fare ricorso all’Arbitro bancario e finanziario.
  5. In generale è buona regola non indebitarsi oltre un terzo delle proprie entrate mensili. Tenete presente che chi non riesce a pagare una rata o paga in ritardo rischia di essere segnalato come “cattivo pagatore” nelle cosiddette Centrali rischi, gli organismi che forniscono al sistema finanziario le informazioni sui clienti che ricorrono al credito.

“Amianto anche causa di ictus e crisi cardiache”

5 aprile 2012. I risultati delle analisi dei ricercatori dell’Health and Safety Laboratory su 94.403 uomini e 4.509 donne esposti alla fibra-killer e seguiti tra il 1971 e il 2005: il campione esaminato ha manifestato più probabilità di morire per una malattia cardiovascolare rispetto alla popolazione generale

 ROMA – L’amianto è un “veleno” non solo per i polmoni, con i suoi noti rischi di tumore. Chi è a contatto con questo materiale, infatti, corre anche maggiore pericolo di avere una crisi cardiaca o un ictus: possibilità che aumenta con il prolungarsi dell’esposizione. Un problema che riguarda, tra i lavoratori dell’industria, soprattutto le donne per le quali raddoppia la probabilità di ictus e aumenta dell’89% quella di crisi cardiaca, contro percentuali maschili che si attestano, rispettivamente, al 63% e al 39%. A lanciare il nuovo allarme sono i ricercatori britannici del centro “Health and Safety Laboratory (HSL)” che hanno pubblicato uno studio su “Occupational and environmental medicine”.

A oggi sono ben noti gli effetti oncologici della fibra-killer – responsabile principale di mesoteliomi, tumori polmonari, intestinali e di altre sedi – ma poco si sa sugli effetti cardiovascolari legati alla sua natura di “agente infiammatorio”. Da qui la ricerca degli scienziati inglesi. Lo studio si è basato sull’analisi dei dati medici di 94.403 uomini e 4.509 donne, seguiti tra il 1971 e il 2005, che hanno avuto contatto con l’amianto sia nel lavoro di bonifica che nell’industria. Va rilevato che più della metà del campione era composto da fumatori. Nell’arco di tempo esaminato 15.557 persone sono morte, considerando le diverse cause: 1.053 hanno avuto un ictus e 4.185 di infarto. Considerando il tasso di mortalità standard, spiegano gli esperti, i lavoratori esaminati, avevano più probabilità di morire di una malattia cardiovascolare rispetto alla popolazione generale, anche tenendo conto del maggior rischio legato al fumo.


http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com/2012/05/08/studio-britannico/

SICUREZZA SUL LAVORO E SANZIONI


RAFFAELE GUARINIELLO A MESTRE:

 

 “LA COLPA DELL’INEFFICIENZA SANZIONATORIA RISPETTO ALLE AZIENDE POCO ATTENTE ALLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO E’ ANCHE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA E DELLA LENTEZZA DELLA MAGISTRATURA CHE PORTA ALLA PRESCRIZIONE DEI REATI”.

 

 QUESTO UNO DEI COMMENTI A MARGINE DEL SEMINARIO ORGANIZZATO A MESTRE DA VEGA FORMAZIONE IN COLLABORAZIONE CON IPSOA, VEGA ENGINEERING E AIESIL DAL TITOLO “GLI OBBLIGHI IN TEMA DI SICUREZZA DEL LAVORO”.

 

 

“Una priorità che viene troppo spesso trascurata all’interno delle aziende. Eppure le norme che disciplinano la sicurezza nei luoghi di lavoro ci sono e sono gli strumenti principali per prevenire gli infortuni e i decessi. Purtroppo poi, accanto all’incoscienza di una parte dell’imprenditoria esiste anche una carenza di rigore dal punto di vista sanzionatorio che invece, se rafforzato, potrebbe aiutare a migliore la cultura della tutela del lavoratore”.

Queste le parole del procuratore Raffaele Guariniello a margine del seminario organizzato recentemente a Mestre da Vega Formazione in collaborazione con Ipsoa, Vega Engineering e Aiesil dal titolo “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro”;questo l’autorevole commento del magistrato che con le sentenze dei processi Eternit e Thyssen Krupp ha ottenuto nel primo caso la condanna dei vertici dell’azienda per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche in riferimento agli oltre 3000 morti provocati dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale.

“In parte – ha proseguito Guariniello – la colpa dell’inefficienza sanzionatoria è degli organi di vigilanza e della lentezza della Magistratura che porta anche alla prescrizione dei reati. La metodologia di indagine, poi, deve essere più penetrante per arrivare a capire se un infortunio sia un fatto episodico o se sia una politica aziendale, una scelta strategica”.

Così il magistrato che più di tutti negli ultimi decenni ha lottato in prima linea per rendere Giustizia alle vittime innocenti del lavoro nel nostro Paese ha descritto a Mestre una delle emergenze più tragiche nel nostro Paese; perché di lavoro si muore quotidianamente .

la formazione in questo senso diventa un passaggio fondamentale per interrompere il tragico bollettino delle morti bianche. “Purché – ha sottolineato Raffaele Guariniello – sia programmata e realizzata con la massima serietà e competenza con strumenti e metodologie per verificare che l’apprendimento sia effettivo”.

Serietà e competenza sui quali punta Vega Engineering da oltre due decenni in prima linea su questo fronte. “Solo negli ultimi anni – spiega l’ingegner Pier Luigi Dalla Pozza direttore di Vega Engineering – sono stati migliaia i lavoratori coinvolti nei nostri programmi di aggiornamento e formazione tra cui dirigenti, Rspp, Aspp, addetti alla sicurezza provenienti da tutta Italia. Il nostro obiettivo è quello di continuare a diffondere la cultura della sicurezza facendoci interpreti e traduttori, anche con l’aiuto di figure autorevoli come quella del dottor Guariniello, di norme e burocrazie talora complesse ma indispensabili per la dignità e per la tutela dei lavoratori”.

Fondamentale poi per Raffaelle Guariniello è che la diffusione di una corretta ed efficiente prevenzione giunge anche dall’analisi dei dati sugli infortuni con particolare riferimento alle indagini condotte dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering.
“Ho letto con interesse i risultati dell’Osservatorio Vega Engineering – ha spiegato il procuratore – perché sono preziosi mezzi di indagine che consentono di porre una lente d’ingrandimento sul problema; perché evidenziano ad esempio in alcune aree del Paese numeri molto bassi di infortuni mortali che lasciano perplessi. Sarebbe interessante capire se questi incidenti davvero non accadano”.

Intervista Dott. Raffaele Guariniello

Intervista Ing. Pier Luigi Dalla Pozza

Contributi video Seminario “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro” – 27/04/2012 Mestre (VE)

Dott.ssa Annamaria Bacchin

 

Ufficio Stampa – Dott.ssa Annamaria Bacchin 
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Web site: www.vegaengineering.com
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fonte

Congedo di paternità: Italia verso l’allineamento Ue su quello obbligatorio

Dopo la sentenza di Firenze, che concede 5 mesi ai neo-papà con determinati requisiti, presentate due proposte di legge, ora in discussione alla Camera, che puntano a introdurre i 4 giorni di congedo obbligatorio presente in altre realtà europee.

di Valentina Marsella

 

Una sentenza del Tribunale di Firenze, mesi fa, aveva rivoluzionato la vita di alcuni fortunati neo-papà, concedendo loro cinque mesi di congedo. Fino ad allora l’Inps riconosceva al padre la possibilità di restare a casa con l’80 per cento dello stipendio per i tre mesi successivi al parto della compagna. Ma il giudice fiorentino, giudicando quel tempo troppo stretto, perché la legge dota quel genitore di un diritto autonomo e speculare a quello della madre, aveva prolungato i termini. E allora se la lavoratrice può astenersi dal suo impiego per cinque mesi, avrà diritto a farlo anche il padre, solo quando sussistono determinate condizioni. 

Da allora una valanga di richieste ha invaso gli uffici dell’Inps, e molti papà desiderosi di stare a casa con il proprio bimbo hanno preso alla lettera la sentenza. Eppure quella pronuncia non è da considerarsi la panacea di tutti i mali, perchè ci vogliono dei requisiti per poter richiedere il beneficio. L’interessato può ottenere tutto il periodo stabilito, solo se la madre è casalinga, è in malattia oppure è una lavoratrice autonoma che non usufruisce del diritto all’astensione. Altrimenti potrà prendere un congedo che sommato a quello della compagna non può superare i cinque mesi. E infatti protagonisti della sentenza erano stati due coniugi, in cui la donna, lavoratrice autonoma e vicepresidente della Cna fiorentina, aveva avuto una malattia importante. 

Un tempo il periodo di maternità era pensato per salvaguardare la salute della madre. Adesso si intende anche come tutela di quella del bambino, e il ruolo del padre diventa fondamentale, anche per aiutare la compagna incinta nell’ultimo periodo della gravidanza. E dalla pronuncia di quella sentenza, la legislazione a favore dei ‘mammi’ ha cercato di fare un ulteriore balzo in avanti. Dopo mesi, in questi giorni si è tornato a parlare di congedo di paternità e stavolta è la parola ‘obbligatorio’ a metterci lo zampino e a rendere tutto più interessante per i papà che finalmente non saranno costretti a ferie e permessi per star vicino alla compagna in sala parto o durante le prime ore dopo la nascita. 

Come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, anche i papà italiani potrebbero godere di un congedo di paternità obbligatorio, si legge sulla prima pagina dei disegni di legge che la Camera ha iniziato a discutere a metà giugno. Se arriveranno al traguardo finale i papà, subito dopo la nascita del bambino, dovrebbero prendere quattro giorni di congedo obbligatoriamente, come è obbligatorio il congedo che impone alla mamma (purtroppo non a tutte ma a chi ha determinati contratti di lavoro) di non lavorare per cinque mesi. Il tutto a carico delle aziende per i lavoratori dipendenti e del sistema previdenziale per gli autonomi. 

Due le proposte di legge all’esame della commissione Lavoro di Montecitorio, molto simili tra loro. Per prima è arrivata quella del Pd scritta da Alessia Mosca e firmata da 25 deputati, seguita da quella depositata dal Pdl, autore Barbara Saltamartini, sottoscritta da 36 colleghi. “L’Europa ci impone di portare a 65 anni l’età pensionabile per le donne – spiega Mosca, la firmataria della proposta Pd – ma è opportuno riequilibrare anche un altro pezzo della vita, e cioè la cura dei figli che non può essere a carico solo delle mamme”. Quei quattro giorni, dunque, avrebbero un valore simbolico. E sarebbero il primo passo di un lunghissimo percorso. 

“Il vero obiettivo – spiega Saltamartini, autrice del testo Pdl – è passare dalle pari opportunità alle pari responsabilità. E quindi pensare non alla tutela delle donne, ma ad un sistema che consenta alla famiglia di organizzarsi”. In attesa del congedo obbligatorio, in Italia esiste comunque quello facoltativo, ma è una rarità: lo chiede meno del 4 per cento dei padri. “Quattro giorni per lavoratore con un tasso di natalità dell’1,24 per cento – dice Saltamartini – sono davvero poca cosa. E poi vogliamo aiutare le famiglie a fare figli e le donne a rimanere nel mondo del lavoro. Anche questo è sviluppo”. Esistono esempi positivi in Europa: il Portogallo ha introdotto il congedo obbligatorio per i papà nel 2002. Prima aveva solo quello facoltativo, ma non lo chiedeva nessuno, meno del 2 per cento dei papà. Adesso sono arrivati al 22 per cento.

“Questo vuol dire che l’obbligo di restare a casa – spiega Mosca – può insegnare che prendersi cura dei bambini è bello. Può rompere un tabù, avviare una rivoluzione”. L’iniziativa bipartisan, dunque, affronta una questione che in molti paesi europei è già da tempo acquisita e regolarizzata. Di fatto, un padre svedese deve trascorrere 30 giorni a casa col bebè, uno francese 12 giorni, e norme simili esistono in Spagna, Gran Bretagna, Germania, e appunto Portogallo. 

Ma l’esempio di quello che viene considerato il paese modello in questo campo, la Svezia, mostra che la diffusione del congedo tra i papà dipende sicuramente da fattori culturali, ma anche da un sistema di incentivi che lo rendano sostenibile per la famiglia: e questo può essere ottenuto solo con una piena retribuzione di parte del periodo e con l’obbligo di un’equa suddivisione tra i genitori. L’introduzione nel paese scandinavo del congedo per i padri nel 1995 ebbe un impatto immediato grazie ad una forma di coercizione indiretta: se il papà non ne fruiva, la famiglia perdeva un mese di indennità. Di lì a poco, otto uomini su dieci usufruivano del congedo. L’aggiunta di un ulteriore mese di congedo paterno non trasferibile nel 2002 ha aumentato solo marginalmente il numero di uomini che vanno in ‘paternità’, ma ha più che raddoppiato la durata.

La Germania, con quasi 82 milioni di abitanti, nel 2007 ha imitato il modello svedese, destinando due dei 14 mesi di congedo retribuito ai papà. In due anni, il numero di padri che hanno richiesto il congedo è balzato da tre a oltre il 20 per cento. Le due proposte prevedono inoltre, per tutte le donne, l’innalzamento dell’indennità spettante durante l’astensione obbligatoria dall’80 per cento al 100 per cento della retribuzione, e una serie di altri miglioramenti alle tutele per maternità e paternità, che dovranno ora passare alla verifica di compatibilità con i conti dello stato.

 

PROPOSTE DI LEGGE ATTUALMENTE IN FASE DI STUDIO:
 Proposta di legge di Alessia Mosca (Pd) 
 Proposta di legge di Barbara Saltamartini (Pdl)

LINK:
 Resoconto della Commissione lavoro

Incidenti in bici: l’Inail non rimborsa se su pista ciclabile

Per ottenere l’indennizzo è necessario che l’incidente non avvenga in percorsi protetti e che l’uso della bici sia dovuto a insufficienza di mezzi pubblici e a una distanza casa-lavoro non percorribile a piedi. Il rimborso viene effettuato anche nei casi di bike sharing

bicicletta incidente inail

si può fare

bicicletta furto ladroBiciclette: come evitare di farsele rubare e ritrovarle online

Online un nuovo sito, Rubbici.it, ideato dallo studente 21enne Matteo Ganassali, che permette di ritrovare le bici rubate grazie al contributo degli stessi utenti.

stili di vita

bike to workDa casa al lavoro: è boom delle bici. Al nord in sella quasi 1 su 3

Quadruplicati negli ultimi 10 anni in Italia i lavoratori che si spostano in bicicletta. Tra le cause, non tanto la crisi economica, quanto la voglia di migliorare la propria qualità della vita.

trend

web sharing bicicletteBiciclette, il nuovo trend è il web sharing

Biciclette noleggiabili online a prezzi inferiori rispetto ai negozi. E’ questa l’ultima tendenza negli Stati Uniti.

La mobilità sta cambiando, è sotto gli occhi di tutti. A partire dalle pedonalizzazioni – sempre più frequenti – passando per la chiusura al traffico dei centri delle città, come nel caso di Area C a Milano, il tema della sostenibilità degli spostamenti sta diventando sempre più rilevante.

E le persone hanno cominciato ad adattare i loro stili di vita a queste nuove norme. L’uso delle biciclette, ad esempio, è aumentato in città e la conseguenza è stata un innalzamento delle richieste di indennizzo all’Inail per incidenti occorsi in strada.

In materia, l’Inail si è espresso abbastanza chiaramente lo scorso novembre con il provvedimento Infortunio in itinere – utilizzo del mezzo privato (bicicletta): «la valutazione sul carattere “necessitato” dell’uso di tale mezzo di locomozione, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l’abitazione ed il luogo di lavoro, costituisca discrimine ai fini dell’indennizzabilità soltanto quando l’evento lesivo si verifichi nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si verifichi su pista ciclabile o zona interdetta al traffico».

Tradotto: un infortunio in bicicletta che avvenga durante il percorso casa-lavoro di un individuo è indennizzabile solo se avviene su “una strada aperta al traffico di veicoli a motore” e non su “piste ciclabili o zone interdette al traffico”.

Inoltre, si può chiedere un rimborso solo se il lavoratore è stato costretto a utilizzare la bicicletta per mancanza di altri mezzi di trasporto (inclusi quelli pubblici) e se la distanza che lo separa dall’ufficio non sia percorribile a piedi.

Per quanto riguarda la particolarità del bike sharing, l’Istituto si è espresso sostenendo che non c’è differenza sulla proprietà della bicicletta, considerando che “l’appartenenza del veicolo è secondaria rispetto alla possibile indennizzabilità dell’infortunio” (art. 12 D.Lgs. n.38/2000) e che la bici in affitto non può essere considerata come un “mezzo pubblico”. Pertanto, la regolamentazione è da considerarsi valida anche per il bike sharing.

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