“Nei prossimi 10 o 20 anni alcune infezioni potrebbero diventare incurabili. Questa è una bomba a orologeria che le nazioni dovrebbero inserire nell’elenco delle più grandi minacce all’umanità”: è quello che ha dichiarato alla Bbc Dame Sally Davies, consulente governativa della sanità pubblica del Regno Unito.
E rincara: “tra 20 anni anche gli interventi di routine potrebbero diventaremortali se perdiamo la capacità di combattere le infezioni, come succedeva nel 1800. Per non parlare dei trapianti, che saranno di fatto impossibili per l’elevatissima mortalità post-operatoria”.
La resistenza ai microbi è una vera e propria minaccia globale, che si verifica quando i batteri sopravvivono ai farmaci che dovrebbero ucciderli. I microrganismi diventano così resistenti agli antibiotici, così come i virus ai farmaci antivirali e i parassiti ai farmaci contro la malaria.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno sono 150mila gli uomini che muoiono di tubercolosi resistente ai farmaci. Dame Sally Davies ha dichiarato che in mancanza di interventi si potrebbe regredire a un ambiente simile a quello dell’Ottocento, quando anche una banale infezione poteva diventare letale: “Nel corso dei prossimi decenni si rischia di perdere la guerra contro i microbi e anche le procedure standard come le protesi all’ancapotrebbero diventare più rischiose”: infatti l’elevata mortalità post-operatoria renderebbe a rischio di morte anche la più semplice operazione. Già oggi gli ospedali sono popolati da batteri killer, come quello dello stafilococco resistente alla meticillina, quello dell’E.coli e della Klebsiella: la diffusione degli ultimi due è triplicata negli ultimi anni e provoca la maggior parte delle infezioni ospedaliere.
“Abbiamo disperatamente bisogno di nuove scoperte, di ricerca e sviluppo”, lancia l’allarme la Davies. Il problema è che la ricerca di nuovi antibiotici è poco remunerativa per le case farmaceutiche e i batteri stanno sviluppando sempre più resistenza a quelli già esistenti, che vengono usati a sproposito -anche dai medici- per patologie che non li richiederebbero, per non parlare dell’agricoltura, della pesca e dell’allevamento.