La chirurgia robotica: pro e contro di una tecnica che ha già 10 anni

 

Cinzia Iannaccio
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La chirurgia robotica in Italia ha di recente superato il decennio di attività. Da strumentazioni complesse e limitate solo ad alcuni tipi di interventi, come il primo robot-chirurgo Zeus, si è arrivati allo sviluppo di una nuova tecnica estremamente precisa ed adattabile. L’innovativo macchinario, perla della chirurgia mini-invasiva attualmente utilizzato si chiama Da Vinci ed ormai è presente in quasi 40 strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale. Siamo secondi solo agli Stati Uniti, nell’utilizzo di questa apparecchiatura.

L’interesse nei confronti di questa nuova star della tecnologia applicata alla medicina, sta aumentando anno dopo anno, grazie soprattutto all’ampio utilizzo che se ne può fare. Può definirsi la formula evolutiva della laparoscopia, ma sicuramente è molto di più. E’ caratterizzato da 4 bracci meccanici (uno per le fibre ottiche che danno la possibilità di una visione tridimensionale e 3 per gli strumenti chirurgici), un monitor ed una consolle distanti dal tavolo operatorio, ma sempre in sala. Da qui il chirurgo manovra il meccanismo attraverso un vero e proprio joystick. Da non confondere dunque con un apparecchiatura autonoma, benché si parli di robotica!

Neanche il nome italiano deve trarci in inganno: Da Vinci non è frutto della scienza e della nostra tecnica, bensì di quella americana che ha voluto omaggiare in qualche modo il nostro paese. Ne abbiamo parlato, cercando di approfondire il tema, con il Dott. Andrea Coratti, Direttore dell’Unità Operativa di  Chirurgia Generale dell’Ospedale Misericordia di Grosseto, nonché coordinatore della scuola nazionale Acoi e della Scuola internazionale di Chirurgia Robotica che ha sede presso quest’ultima.

Dott. Coratti, esiste solo Da Vinci o ci sono altri strumenti robotici che si utilizzano in chirurgia?

“Con queste caratteristiche solo lui. Da Vinci è utilizzabile per la chirurgia delle grandi cavità: addominali, toraciche, della pelvi. Ha iniziato la sua attività in cardiochirurgia, per poi trovare una maggiore utilizzazione altrove, su pancreas, fegato, stomaco, colon-retto, polmone. Ma anche milza, rene, surrene e soprattutto in urologia. Molto usato per le donne, ma si è rivelato eccezionale, perfetto per effettuare prostatectomie radicali”.

La tecnica di cui stiamo parlando nasce 10 anni fa nell’Ospedale dove lei lavora, il Misericordia di Grosseto. E’ curioso che una tale innovazione non arrivi da una struttura universitaria o ospedaliera, magari di una grande città. Come mai qui?

“Non è poi così curioso. Per certe innovazioni, così decisive, serve prima un cambiamento culturale, seguito da una progettazione precisa. Questo è più semplice in realtà più piccole. Non siamo gli unici: pensiamo a quello che ha fatto nel campo della chirurgia mini-invasiva Casciola  a Spoleto, in Umbria, o a cosa si è sviluppato in Veneto in cittadine come Castelfranco e Camposampiero. Lo stesso Cristiano Huscher ha iniziato a sviluppare le sue tecniche in un Ospedale non grandissimo. Noi abbiamo poi avuto una fortuna: lavorava al Misericordia il Prof. Pier Cristoforo Giulianotti, è lui che ha conosciuto per primo queste tecniche innovative, ci ha creduto molto ed ha deciso di portarle avanti, riuscendo nel suo progetto in tutto e per tutto. Da allora, solo nella nostra struttura sono stati effettuati almeno 1100 interventi di chirurgia robotica, con una media che negli ultimi anni è salita a circa 150 interventi all’anno”.

Giulianotti attualmente è uno dei maggiori esperti al mondo in questo campo. Ricopre anche il ruolo di presidente  del MIRA, (Minimally Invasive Robotic Association ovvero Associazione per la chirurgia robotica mininvasiva). A Grosseto, già nel 2000 ha dato vita alla prima esperienza Italiana di robotica applicata alla chirurgia generale, seguita, nel 2003 dall’apertura della Prima Scuola internazionale al riguardo, di cui è ancora presidente, pur dirigendo la Divisione di Chirurgia Robotica dell’University of Illinois Medical Center di Chicago dal 2008, dove attualmente presta la sua opera.

Tra le due strutture sanitarie esiste ovviamente una collaborazione volta a formare professionisti di tutto il mondo. Dal 2004, la scuola italiana è dotata di un robot interamente dedicato alla didattica, utilizzato per simulare gli interventi. In soli 4 anni di attività ha formato più di 400 chirurghi. Un’attività in evoluzione?

“E’ una chirurgia molto specialistica, che deve essere fatta da medici con grande esperienza i laparoscopia o comunque in tecniche di chirurgia mini-invasiva. C’è un adeguato interesse, che sta crescendo, grazie soprattutto alle applicazioni in urologia. Ma va studiata, l’utilizzo del robot, è una tecnica a se stante”.

Quali sono i veri vantaggi? E chi può essere sottoposto ad un intervento con Da Vinci?

“Più l’intervento laparoscopico è complesso, maggiore è la capacità di intervenire con l’apparecchiatura in questione. E’ vero esiste una selezione dei pazienti, che parte già dalla tipologia dell’intervento: un tumore molto grande ad esempio, può essere tolto solo con la chirurgia classica, aperta. Oppure, per lavorare in laparo si allarga con del gas la zona da trattare, per poter far muovere la strumentazione. Alcuni pazienti ad esempio caratterizzati da alcuni problemi cardiaci, non possono essere sottoposti a questa metodica.

Per il resto occorre pensare solo ai benefici: un intervento al colon tradizionale, con chirurgia aperta comporta ad esempio 8-10 giorni di degenza post operatoria, una grande e dolorosa cicatrice, un rischio maggiore di sviluppare infezioni e non solo. Il 35 % circa di questi pazienti va incontro solitamente allo sviluppo di un’ernia che va operata. Con Da Vinci 3 o 4 giorni dopo l’intervento si va a casa senza problemi.

C’è una maggiore precisione, non solo dei movimenti (la mano del chirurgo può tremare ad esempio ndr), ma anche nella visione. Lo schermo, rispetto alla laparoscopia offre una visione tridimensionale, non piatta e soprattutto è ingrandita, molto più nel dettaglio che non nella stessa chirurgia aperta. E’ come lavorare attraverso un microscopio.”

Si dice però manchi il “tatto”, fondamentale per un chirurgo…

“Sì, manca il feed-back tattile, non si sa ad esempio quanto si stringe annodando un filo di sutura. Ma la cosa è compensata dalla visione: non sento, ma guardo, vedo. E’ stata avviata anche una ricerca scientifica al riguardo, che ha confermato ciò: dopo pochi interventi, la mancanza del tatto è perfettamente compensata”.

Esistono altre controindicazioni?

“Attualmente nessuna! Anche se qualcuno sottolinea l’aspetto economico. Credo che un’apparecchiatura di questo tipo costi intorno ai 2 milioni di Euro, ma poi ci sono delle spese aggiuntive: lo strumentario, che necessita di ricambi, la manutenzione e così via. Si può arrivare ad una media di 1.500/2.300 euro ad intervento. Tanto, dicono in molti, ma esattamente quanto viene speso per altri tipi di intervento. Un esempio? Alcune suturatici meccaniche utilizzate per interventi al retto provocano le stesse spese e nessuno fa tante storie! E questo escludendo i costi di ospedalizzazione. Pensiamo agli interventi d’ernia di cui sopra: le reti utilizzate possono costare anche 3.000 euro.”

Cosa le viene da aggiungere a questi discorsi, data la sua esperienza?

“Oggi la chirurgia robotica rappresenta il salto di qualità per una struttura sanitaria. Quelle che vogliono attivarsi in questo senso, devono pianificare adeguatamente il tutto: dalla formazione del personale fino all’utilizzo multidisciplinare dello strumento. E’ inutile dotarsi di un macchinario di questo tipo ad esempio ed utilizzarlo solo per gli interventi allo stomaco ad esempio. Solo così anche per l’azienda sanitaria ci potrà essere la possibilità di ammortizzare adeguatamente i costi.”

Il futuro della robotica? Si sogna la telemedicina.

“Il futuro è nella miniaturizzazione. Da Vinci è abbastanza ingombrante e non trova uno spazio adeguato in tutte le sale operatorie. Più piccolo si farà e maggiori saranno le possibilità di una sua diffusione. A breve scadrà anche il brevetto, vedremo cosa accadrà da questo punto di vista. Per ciò che riguarda la telemedicina sono stati fatti degli interventi chirurgici dimostrativi a distanza.

La chirurgia robotica è nata con queste finalità, per operare a distanza, in ambienti estremi. Ma attualmente i costi sono troppo alti e soprattutto il sistema di telecomunicazioni non è abbastanza sviluppato. C’è nelle trasmissioni un minimo ritardo, e anche una frazione di secondo può disturbare il chirurgo. Diverso è invece il discorso se parliamo di telemedicina e tutoring. Da lontano un chirurgo, anziché eseguire, può insegnare una tecnica o suggerirla durante un intervento.”


 

 

La chirurgia robotica: pro e contro di una tecnica che ha già 10 anniultima modifica: 2013-03-27T10:42:44+01:00da admin
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