La nostra Italia-Martirano Lombardo III parte Il costume calabrese

Il costume calabrese

pacchianeLa più antica documentazione che si ha sul costume calabrese è data da un’opera pubblicata in Spagna nel sec. XVI intitolata “Trages de Italia”, nella quale, sotto un relativo disegno, si legge la didascalia: “Los Calabreses usan una capa de pario de pano negro y un gorro de pario o’ seda segun la estacion…” Il costume calabrese acquista notorietà, nel senso che lo si viene a conoscere fuori dai confini della regione, da quando il francese Depreez, sul finire degli anni 1770, disegna per l’Abate di Saint Non paesaggi visitati con figure di contadini e gentiluomini, di campagnole e di cittadine; piccole immagini che costituiscono una documentazione basilare. Successivamente in seguito al terribile terremoto del 1783, la documentazione si arricchirà delle incisioni di artisti provenienti da ogni parte d’Europa, giunti in Calabria per osservare in quale grave prostrazione era stata ridotta una terra, fino a meno di un decennio prima del viaggio dal Depreez che la descriveva ricca di prodotti della terra e della capacità degli uomini ed ancora famosa per la vivace bellezza delle donne orgogliose dei loro altrettanto vivaci costumi. (…)

Nell’Ottocento, con l’occupazione francese, si hanno le prime distinzioni dell’abbigliamento tipico del calabrese, per gli uomini dal classico copricapo conico il “cervone” in panno nero e nastri pendenti di vaio colore, la giacca di velluto corta, i pantaloni di velluto stretti sotto il ginocchio, le calze di lana e le scarpe di cuoio allacciate sino al ginocchio, e per le donne dall’ampia camicia, dallo stretto corpetto e dalla larga gonna stretta in vita. Il copricapo appare poi in tutte le stampe che raffigurano i noti briganti che infestavano tutta la Calabria dal Pollino alla Sila, dalle Serre all’Aspromonte, ma era considerato anche segno distintivo di ribellione del calabrese verso gli stranieri occupanti. Era stato adottato anche dagli uomini delle comunità albanesi, come gran parte del costume maschile, come dimostrano le foto del periodo fine ‘800 e inizi ‘900.

Fonte:
www.arbitalia.it 
da “Brevi considerazioni sul costume delle donne arbëreshe”, di Maria Frega.

La pacchiana

pacchiana IolandaCol termine “pacchiana” deve intendersi non solo la contadina, ma in genere la donna di modeste condizioni (moglie di un commerciante o artigiano) in contrapposto alla signora, che veste secondo la moda di Napoli. Col passare del tempo, nei piccoli paesi si sviluppa il gusto di perfezionare e rendere prezioso un abito fino ad allora poco ricco. La varietà e la bellezza del costume femminile in Calabria si distingue nel costume di Nicastro, che consiste in un panno rosso intorno alla vita e sopra una gonna lunga con ricca plissettatura e, raccolta e legata dietro, in modo da formare una coda. Il costume tradizionale maschile può dirsi quasi totalmente scomparso (salvo alcuni elementi, conservatasi specie presso i pastori), esso ha rappresentato per secoli uno dei tratti più caratteristici dell’ambiente popolare calabrese, anche attraverso l’iconografia del famoso “brigante”.

pacchiana VeronicaAlla fine del secolo scorso, questo vestito, si era fedelmente conservato tanto che Caterina Pigorini Beri (In Calabria, 1892) lo descrisse minuziosamente: “Il giubbetto corto, tagliato militarmente…. e con le mostre e i risvolti con una certa pretesa guerresca e i bottoni lucidi, sovrasta ad una specie di panciotto rigidamente abbottonato, fin dove cominciano i calzoni, tenuti sù da una larga cinghia di cuoio affibbiata, o da una sciarpa rossa e scozzese a larghe righe a colori vivaci…. ecc.”. Nella prima Mostra provinciale d’arte popolare tenutasi a Cosenza nel 1937 tale costume figurava esposto nella sua completezza, compreso il cappello specialissimo a cono “coperto di vellutini fino al vertice, i quali ricadono in abbondanti fiocchi sulle falde, e, perché troppo stretto sulla testa, è raccomandato ad un laccio legato sotto il mento”.

La tradizione martiranese è inverosimilmente concentrata anche e soprattutto nel vestito tipico femminile, la pacchiana. I vari pezzi che compongono l’abito hanno una simbologia molto eloquente sia nei colori adottati, sia nella scelta e lavorazione della stoffa utilizzata. Tutto il vestito, in ogni sua parte, era come una carta d’identità; era un’allegoria dello stato sociale della donna che lo indossava. Il vestito martiranese veniva indossato per la maggior parte dalle popolane che diversificavano l’accostamento delle stoffe in funzione del contesto in cui lo indossavano. Il tipico vestito può essere riassunto attraverso la descrizione di sette pezzi caratterizzanti: “a cammisa janca longa”, una camicia di tela equivalente all’attuale sottoveste; “u cursè”, corsetto munito di stecche rigide; “u pannu” (rosso se sposata, nero se vedova, marrone se signorina), che lascia intravedere dall’orlo “a cammisa”; “a cammigetta” (camicetta di cotone, ma se elegante è di pizzo o velluto);“a gunnedda” (gonna riccia o plissettata, nera se vedova); “u mantisinu” (grembiule di tibet, se elegante è di seta) che ricopre la “gunnedda”. Quest’ultima veniva portata in modo da formare posteriormente una grossa coda; la parte anteriore veniva raccolta all’altezza della vita e ripiegata all’indietro con un nodo che ne formava la coda: “a gunnedda s’abaza e forma a cuda”. In fine “u mannile”, striscia di stoffa che ricopriva la testa scendendo lungo il dorso fino alla vita.

Ricerca effettuata da Giovanni Lanzo
Altre foto su Virgilio.

Si ringrazia il consigliere Angelo Isabella e le giovani modelle Iolanda e Veronica.

http://www.martiranolombardo.info

La nostra Italia-Martirano Lombardo III parte Il costume calabreseultima modifica: 2012-03-30T14:03:00+02:00da weefvvgbggf
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