Il fumo? Una malattia come le altre

A Milano si spiegano ai futuri medici i danni da fumo e i modi
per smettere, ma anche come e quando parlare con i pazienti

MILANO – Il concetto di partenza è semplice: il fumo di sigaretta è una malattia, di cui soffrono milioni di italiani. Ecco perché è importante che tutti i medici, specie quelli di famiglia e gli odontoiatri che hanno un rapporto costante con le persone, facciano la loro parte per curare la dipendenza dal tabacco, trattandola come una patologia al pari delle altre. E’ su queste basi che si è tenuto nei giorni scorsi all’Ospedale San Paolo di Milano un corso elettivo universitario su questo argomento, rivolto agli studenti della Facoltà di Laurea in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria. «A quanto ci risulta è il primo ciclo di lezioni nel suo genere e visto il successo vogliamo renderlo un appuntamento fisso ogni anno» spiega Stefano Centanni, direttore della Pneumologia al San Paolo e organizzatore del corso a numero chiuso che fornisce dei crediti formativi necessari nell’iter universitario per poter giungere alla laurea.

 

QUELLO CHE I FUTURI MEDICI, DEVONO SAPERE – Tutti gli studenti che un giorno saranno odontoiatri e medici, di base o specializzati nelle varie discipline mediche o chirurgiche, imparano che il fumo è un fattore di rischio per molti tumori e malattie cardiocircolatorie (come infarti o ischemie), respiratorie (bronco-pneumopatie croniche ostruttive, Bpco) o neurologiche (ictus). «Manca però nel loro ciclo di studi – dice Centanni – un approfondimento sul tabagismo e su come affrontarlo. Devono avere maggiori informazioni sui danni da fumo, sulle tecniche di disassuefazione, sui profili psicologici dei fumatori, sui costi del tabacco per la società e per il Servizio sanitario. Infine, c’è la questione etica: è corretto che un medico fumi? Quanto può poi essere credibile quello che dice?». Tutti i medici, insomma, dovrebbero sapere cosa possono fare loro in prima persona e come per incentivare lo stop al tabacco.

FUMO, QUANTO CI COSTI. IN MORTI E DENARO – I numeri non lasciano scampo. Il fumo è causa di 70mila (il 15 per cento) dei 560mila decessi registrati ogni anno in Italia: 40mila per neoplasia polmonare e Bpco, 10mila per altri tumori legati al tabacco; 15-20mila per malattie cardiovascolari e 5mila per altre malattie. In Italia, l’85-90 per cento dei tumori polmonari è attribuibile al fumo come il 75-90 per cento dei tumori di cavo orale, faringe, laringe ed esofago (in cui gioca un grande ruolo anche la combinazione con consumi elevati di alcol. Inoltre, una valutazione economica condotta secondo la prospettiva del Servizio sanitario Nazionale (Ssn) ha stimato l’impatto economico del fumo di tabacco nel 2005 prendendo a riferimento: i ricoveri ordinari e in day hospital attribuibili a patologie correlate al tabacco; i costi di trattamento ambulatoriale e quelli farmaceutici. Il risultato? Il Ssn ha speso in quell’anno 4 miliardi 217milioni di euro, principalmente per l’ospedalizzazione di malati con patologie fumo-correlate: cardiovascolari (51 per cento del costo totale) e, in particolare, le cardiopatie ischemiche che determinano un terzo dell’impatto economico sul Ssn; neoplasie (30 per cento), soprattutto del polmone (10 per cento); Bpco (11 per cento).

I MOLTI MODI PER SMETTERE – «La dipendenza da nicotina, al pari delle altre droghe, va considerata come una patologia cronica recidivante di cui soffre in modo moderato o grave circa un fumatore su cinque – prosegue Roberto Boffi, responsabile del Centro antifumo dell’Istituto nazionale tumori di Milano -. E’ possibile diagnosticare la dipendenza fisica da tabacco tramite appositi test per aiutare quei fumatori che sono incapaci di smettere, anche quando siano motivati a farlo dalla consapevolezza dei danni provocati da fumo. Soprattutto, è importante che i fumatori siano aiutati dire basta, consigliati sul mezzo migliore per ciascuno fra i tanti disponibili. Farcela da soli è difficile». E le statistiche lo confermano: molti provano a smettere (nella stragrande maggioranza dei casi da soli) diverse volte e solo una parte riesce, in genere dopo molti tentativi. Meno del 5 per cento delle persone si e rivolge ai centri antifumo, sebbene il 44 per cento sia informato della loro esistenza. E meno dell’uno per cento degli ex-fumatori si è avvalso di un supporto farmacologico. «Le terapie disponibili, scientificamente approvate, sono molte – aggiunge Boffi -. Ci sono quelle farmacologiche (sostitutivi e antagonisti della nicotina, antidepressivi) e quelle psicologiche (counselling e terapia comportamentale, auto-aiuto): molti studi dimostrano che buttare il pacchetto è più semplice e più duraturo negli anni se lo si fa seguendo questi metodi».

L’AIUTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO – Cosa possiamo fare noi per aiutare le persone a smettere? E’ questa la domanda più pratica che arriva dagli studenti. E la prima risposta degli esperti è facile e concreta: qualsiasi medico, specie quello di famiglia (che conosce meglio il paziente) o il dentista (spesso di fiducia), può far riflettere il suo assistito sui danni del tabacco, anche solo chiedendogli se fuma o se ha mai pensato di smettere. «Bisognerebbe essere esperti per motivare qualcuno a dire basta – spiega Egidio Moja, professore di Psicologia generale presso la Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Milano e primario di Psicologia al San Paolo -. Bisogna innanzitutto capire in quale “fase” in fumatore si trova: se neppure valuta l’ipotesi di smettere o se chiede aiuto per farlo perché è motivato e ha capito che corre dei rischi. Nel primo caso, è utile dare delle informazioni e far riflettere la persona sui danni tabacco-correlati. Nel secondo, bisogna condividere con lui i mezzi a disposizione per cessare l’abitudine al fumo, chiedergli cosa avrebbe bisogno per smettere, cosa si aspetta, capire i suoi dubbi. E se è deciso, indirizzarlo a un centro antifumo».

Vera Martinella

FONTE

Il fumo? Una malattia come le altreultima modifica: 2012-02-13T10:44:00+01:00da weefvvgbggf
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