“operazione piombo fuso”

IL COMMENTO

“Ricordare cosa fu “Piombo Fuso” a tre anni di distanza. Questo mi si chiede di fare ma io, davvero, provo l’imbarazzo di non saper distinguere quelle tre settimane apocalittiche (oltre 1400 morti e 5 mila feriti) alla quotidianità di quel luogo chiamato Striscia di Gaza. Tutto il mondo sa dell’esistenza di questa strana entità, questa “Striscia”, ma sono sicura che neppure il 10% di tutti coloro che credono di conoscerla riuscirebbe ad immaginare cosa essa sia effettivamente. Dov’è la “Striscia di Gaza”? In Palestina. Ma cos’è la Palestina? Che non sia uno Stato in pochi lo sanno, che le persone che abitano quella terra martoriata e attraversata da filo spinato e muri di cemento armato non abbiano alcun diritto sul loro stesso suolo natale, nessuno lo sa, o almeno nessuno sa fino a che punto questo sia vero. Ma la “Striscia di Gaza”, lei, non ha neppure l’opportunità di vivere il filo spinato, i check-point, né le barriere che attraversano la Palestina. No perché a Gaza non c’è bisogno di attraversare check-point, di valicare frontiere interne alla propria terra. Di tutto questo non c’è bisogno perché, semplicemente, da Gaza, non si va da nessuna parte. A Gaza si vive, o meglio si sopravvive, fino a quando qualcun’altro ci accorderà la sopravvivenza. Fino al momento in cui non vi sarà un bombardamento o un omicidio mirato si potrà ancora sperare di trovare qualcosa da mangiare grazie alla possibile carità concessa a qualche organizzazione internazionale, al pesce pescato da qualche barca scampata al fuoco delle navi militari, alla verdura raccolta nei campi tempestati dai cecchini o ancora, grazie a quel tunnel attraverso il quale a volte si riesce a strisciare per raggiungere, inshallah, Rafah, in terra egiziana, e racimolare zucchero, farina, beni di prima necessità. Nient’altro è concesso oltre a raccogliere i miseri resti della propria casa distrutta, confondere il proprio dolore con la cantilena del muezzin che chiama alla preghiera raccontando di un aldilà agognato. “Piombo fuso”, un’altra Nakba o semplicemente l’apice provvisorio dell’annichilimento di un popolo? Provvisorio, sì, perché a quelle 3 settimane di nuova catastrofe se ne aggiungeranno altre e forse nuovamente si dirà che a Gaza si è toccato il fondo ma non sarà così, al peggio sopraggiungerà ancora il peggio, fino a quando il mondo non deciderà di aprire gli occhi sull’orrore e non potrà che dire basta. Deir Yassin, Tall al Zaatar, Sabra e Chatila, Jenin, Nablus…..Gaza, ecc ecc. Finalmente si può chiamarle stragi, ma parlare di pulizia etnica non riscuote ancora il favore di molti, dire Olocausto poi è ancora un tabù, assolutamente interdetto parlare di un Olocausto che non sia ebraico. E forse non è sbagliato: l’Olocausto palestinese si perpetua da ben più lungo tempo e allora forse bisognerà inventare un’altra parola”. Nessuno meglio di Michel Warschawski riuscì probabilmente a rendere l’esatta misura dello sgomento che l’operazione “Piombo Fuso” poteva essere in grado di provocare. All’indomani della strage, lui, tra i fondatori della Rete degli Ebrei contro l’Occupazione, figlio di un rabbino e grande conoscitore dei fondamenti della religione ebraica, ammise la propria impotenza, lo sconcerto crescente di fronte allo svilupparsi della società israeliana e, insieme alla vergogna di appartenere al popolo responsabile di tanto abominio, espresse la propria irreversibile condanna: arrivato a tanto Israele non avrebbe più dovuto avere il diritto di esistere quale Stato. Così come la presenza della famiglia di Lot non aveva impedito a Dio di distruggere Sodoma, così la presenza di alcuni giusti in Israele non avrebbe dovuto impedire di arrestare lo sviluppo di una società che aveva dimenticato ormai qualsiasi forma di umanità. Affermazioni che vanno lette comprendendo lo sgomento del Warschawski attivista e filosofo, lo stesso che aveva conosciuto e sperato nell’Israele di Rabin e che oggi non riusciva più a intravvedere né immaginare nulla di simile.

Per comprendere le cause di tanta impunità vengono in aiuto le parole di Pino Cabras, che all’indomani del dubbio omicidio di Vittorio Arrigoni scriveva: “Il potere nel mondo post 11 settembre si è giovato ampiamente del terrorismo come instrumentum regni. Ha fatto passi enormi nell distruggere un ordinamento giuridico internazionale che ammetteva norme non basate sul solo diritto di potenza, inquinare i punti di riferimento concettuali per la definizione di ciò che è aggressione o tirannia o resistenza, far abdicare gli Stati dalla difesa dei loro prevalenti interessi nazionali a vantaggio di una coalizione dominata da interessi imperialistici, condizionare l’economia – vicina a un baratro finanziario – entro la gabbia delle priorità militari.” E il terrorismo di cui parla Cabras non è quello di qualche improbabile Salafita, ma di “Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage”. Il fatto che l’uccisione di Vittorio Arrigoni fosse stata pensata da tempo infatti non può sfuggire a nessuno che sia dotato di un minimo di onestà intellettuale. L’incitazione era esplicita: uccidere un gruppo di persone, tramite la stesura di una vera e propria lista nera con nome e cognome: gli attivisti occidentali testimoni di quanto succede nei Territori occupati. Tutto questo è facilmente consultabile in un sito web, gestito da una sorta di Ku Klux Klan ebraico americano, per nulla clandestino: “Stop the ISM”.

E nel deserto che è il mondo, del quale Gaza e la Palestina non sono che il paradigma, il cuore sussulta ancora alle parole di Vittorio il vincitore: “Continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi”.

“operazione piombo fuso”ultima modifica: 2012-01-26T16:43:29+01:00da weefvvgbggf
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