Le campagne antifumo? Meglio il passaparola Dal convegno americano di oncologia: nuovi studi confermano il legame tra tabacco e diversi tumori

Campagne antifumo? Meglio il passaparola

CHICAGO – «Ormai è un dato di fatto: le campagne di comunicazione contro il fumo non riducono il numero dei fumatori e di conseguenza quello dei malati di cancro al polmone, sono fallite». Ne è convinto Filippo De Marinis, direttore dell’Unità di Pneumologia oncologica I al San Camillo-Forlanini di Roma, che affronta l’argomento al convegno Asco, appuntamento mondiale di oncologia tenutosi nei giorni scorsi a Chicago, dove sono stati presentati alcuni studi sui tumori polmonari e sul legame fra fumo e cancro. Un vero incentivo a smettere? La vita di coppia, matrimonio, figli. O comunque il raggiungimento della maturità: che senso ha, chiede l’esperto, programmare una vita con qualcuno, impegnarsi nella carriera, comprare una casa, fare progetti a lungo termine e poi accendersi una sigaretta che certamente ti accorcia la vita?

 

VALE DI PIU’ L’ESEMPIO DI CHI TI STA DI FIANCO – «Per quanto ben fatte e studiate – spiega De Marinis  – le campagne non riescono a raggiungere l’obiettivo: le persone non smettono di fumare “solo” perché qualcuno glielo dice. Tanto meno i giovani, che della prospettiva di ammalarsi magari dopo 30 o 40 anni non si curano affatto. Qualche risultato in più si ottiene parlando ai bambini delle elementari, ma non basta. Per smettere, lo abbiamo visto centinaia di volte, è più decisivo il contatto personale con qualcuno che ha già smesso: amici, coniugi, colleghi di lavoro. Modelli positivi che fanno dire al fumatore «Allora si può, se ce l’ha fatta lui posso farlo anche io». Meglio il passaparola, insomma». Per chi decide di smettere gli aiuti non mancano, basta rivolgersi a uno dei 396 Centri antifumo distribuiti sul territorio italiano e riconosciuti dall’Istituto Superiore di Sanità. Per gli esperti l’intervento di maggiore efficacia è quello che associa il counselling (cioè il supporto psicologico-comportamentale) alla terapia farmacologica, che ha l’obiettivo di sollevare il fumatore dai sintomi di astinenza. I farmaci efficaci sono i sostituti della nicotina (che “rimpiazzano” nelle prime settimane di non fumo la dose di nicotina da cui il fumatore è dipendente) o i non nicotinici (buproprione e vareniclina, che agendo sui meccanismi cerebrali interferiscono o contrastano l’astinenza). «Nella storia di ogni fumatore l’evento scatenante che lo porta a prendere la decisione di smettere e di impegnarsi a farlo è fondamentale – conferma Laura Carrozzi, pneumologo referente del Centro per lo studio e il trattamento del tabagismodell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana -. Ed è qui che è importantissimo lo stimolo o il contatto con i “modelli positivi” e gioca un ruolo cruciale il consiglio e il supporto del medico e del personale sanitario in genere con cui il fumatore viene a contatto per qualsiasi motivo». Secondo Carrozzi, comunque, «là dove sono state studiate in modo scientifico alcune campagne hanno dimostrato una certa efficacia sui fumatori più leggeri. E sicuramente, si sono dimostrate efficaci misure come l’aumento del costo delle sigarette e l’accesso facilitato o gratuito a interventi intensivi antifumo».

TUMORE AL POLMONE, QUASI TUTTA COLPA DEL FUMO – In Italia ogni anno si registrano oltre 30mila nuovi casi di tumore al polmone, il 90 per cento in fumatori o ex. Restano ancora da chiarire le cause che portano alla neoplasia nel restante 10 per cento delle persone: lo smog? Evidenze chiare ancora non ce ne sono. Motivi genetici? Si stanno cercando le prove e è stata osservata una certa familiarità. «Certo è – aggiunge De Marinis – che chi fuma (e magari ha iniziato da adolescente per darsi un tono) arrivato all’età della ragione, a 30 o 35 anni dovrebbe decisamente smettere, magari pensando che ha o avrà presto una famiglia e che è insensato fare progetti di vita e accendersi sigarette, visto che la vita te la accorciano». Tanto più che le ultime ricerche confermano che a un fumatore servono almeno 20 anni senza tabacco per riportare il suo rischio di ammalarsi di cancro allo stesso livello di chi non ha mai fumato.

NUOVE TERAPIE PER I MALATI PIU’ DIFFICILI – Sono circa 15mila (più o meno la metà delle nuove diagnosi) gli italiani che ogni anno si ritrovano a fare i conti con un carcinoma polmonare già in fase avanzata. Per loro l’obiettivo non può purtroppo più essere la guarigione, ma l’avere a disposizione più tipi di trattamento per prolungare la sopravvivenza, con una buona qualità di vita. Prolungare l’intervallo libero da malattia fra un ciclo di cure e l’altro è l’obiettivo raggiunto da due sperimentazioni su pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in fase avanzata. Da un lato il chemioterapico pemetrexed come terapia di mantenimento (dopo la prima linea di cure con lo stesso farmaco) ha migliorato il periodo di sopravvivenza libera da progressione di malattia. «Un passo piccolo ma significativo, che può indicare una via da seguire e con una tossicità molto contenuta – commenta Filippo de Marinis, direttore della Pneumologia oncologica I al San Camillo-Forlanini di Roma –. E rilevante è anche il risultato dell’altro studio, tanto più che il farmaco, somministrabile in compresse, agevola la vita dei pazienti». Si tratta di erlotinib che, in pazienti europei con mutazione Egfr (recettore del fattore di crescita epidermico, oltre 1.500 all’anno solo in Italia), ha quasi raddoppiato il periodo si sopravvivenza libera da progressione di malattia (passando da 5,2 mesi con chemio standard a 9,7), riducendo del 63 per cento il rischio di morte.

SIGARETTE  «ALLEATE» ANCHE DEL CANCRO AL SENO – Più di un quarto di tutte le forme di cancro, nel mondo occidentale, è causata dall’abitudine alla sigaretta. Molti studi hanno ormai provato che si tratta di tumori non soltanto polmonari, ma che colpiscono anche l’esofago, la laringe, le corde vocali, la bocca, la vescica, il pancreas, il rene, lo stomaco, il sangue. E il seno, secondo le ultime prove fornite da uno studio dell’Università di Pittsburgh, presentato al convegno di Chicago e condotto su 13388 donne sane, ma con una storia familiare caratterizzata dalla presenza di casi di cancro alla mammella. I risultati hanno mostrato che per le donne che sono già a rischio di tumore al seno per vari fattori, il fumo fa lievitare fino al 60 per cento in più le probabilità di ammalarsi. La situazione peggiora in base al numero di anni in cui si è state fumatrici: «Rispetto a donne che no hanno mai fumato – precisa Stephanie Land, autrice della ricerca – il rischio di cancro al seno è più alto del 60 per cento in chi ha fumato almeno per 35 anni, mentre è maggiore “solo” del 34 per cento nelle fumatrici per un periodo da 15 a 35 anni».

Vera Martinella (Fondazione Veronesi)

http://www.corriere.it/

Le campagne antifumo? Meglio il passaparola Dal convegno americano di oncologia: nuovi studi confermano il legame tra tabacco e diversi tumoriultima modifica: 2011-06-22T15:41:39+02:00da admin
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