EVOLUZIONE DELLA CHIRURGIA NEL ‘900

“CENTO ANNI DI CHIRURGIA
Storia e cronache della Chirurgia Italiana del XX secolo

 

Cap. III
EVOLUZIONE DELLA CHIRURGIA NEL ‘900

I cento anni di Chirurgia del XX Secolo quasi coincidono con i primi cento anni della chirurgia moderna. Emblematicamente si può ricordare che nel 1899 Mikulicz introdusse l’uso delle mascherine e che solo pochi anni prima erano state inventate le autoclavi per la sterilizzazione ed impiegati camici e guanti di gomma.
Le sale operatorie con l’inizio del ‘900 cominciarono a diventare tali; prima erano a lungo state o anfiteatri didattici o luoghi appartati non dissimili dalle cucine domestiche.
Nel “Policlinico Umberto I” di Roma, inaugurato nel 1899 le camere operatorie dei padiglioni chirurgici che sono sopravvissute sino agli anni 80 del XX Secolo, rappresentarono il momento tecnico più avanzato della organizzazione chirurgica di inizio secolo. Ovviamente erano prive di impiantistica e di sistemi di sicurezza ma erano davvero ampie, contenevano due letti operatori ciascuna e soprattutto erano costruite all’ultimo piano con grandi vetrate sul soffitto rotondo che era il tetto dell’edificio, affinchè la luce del sole cadesse copiosamente sul letto operatorio.
Trent’anni più tardi, non sono dissimili le nuove sale.
operatorie dell’Istituto ”Regina Elena”, ma in più, una di esse è dotata di una completa parete di vetro, per consentire agli altri medici di assistere agli interventi dall’esterno della sala operatoria. Da quella posizione era però difficile avere più che una visione d’insieme ed il chirurgo teneva celati i segreti della sua arte.
Dopo la II Guerra Mondiale c’è l’esplosione tecnologica e i macchinari invadono le sale operatorie. È un crescendo di respiratori automatici, sistemi di monitoraggio, elettrobisturi, aspiratori, scialitiche, endoscopi sino a che la chirurgia mininvasiva introduce anche mini impianti televisivi.
I locali assumono caratteristiche sempre più avveniristiche, grandi maioliche alle pareti sino al soffitto, pavimenti in materiali sofisticati. Sistemi di sospensione sui quali girano monitor, pompe, infusori, defibrillatori, manometri ed altro.
Tubature e cavi flessibili sbucano da pareti, pavimenti o soffitti, per gas, per liquidi, per aspirazione. Ed ancora i sistemi di sicurezza per l’eliminazione dei gas, contro i rischi da correnti elettriche, la regolazione automatica della temperatura ambiente e la sterilizzazione dell’aria, sino ai flussi laminari e agli allarmi antifumo.
Le luci diventano soffuse ed autoregolanti, le porte a chiusura automatica con cellule fotoelettriche e i tavoli operatori, dai tavolacci di inizio secolo, diventano meravigliosi congegni metallici, snodabili per le diverse posizioni del malato, a funzionamento elettrico e telecomandato.
Insomma la distanza con le navi spaziali tende a zero: per l’esplorazione dello spazio-corpo, giù giù verso la cellula e l’infinito del genoma, c’è la stessa tecnologia che per lo spazio-atmosfera, verso la Via Lattea e l’altro infinito.
Lo stesso vale per lo strumentario chirurgico. I ferri, almeno quelli da taglio e da presa, cambiano poco, anzi
parte di essi seguitano ad essere quelli dei libri di Celso. II bisturi, le forbici, le pinze, portano però per lo più nomi di chirurghi illustri dei secoli XVIII e XIX ed inizio XX: Péan, Mikulicz, Kocher, Kelly e poi Mayo, Metzenbaum, Allis, sino a Francesco Durante ed alla sua apprezzatissima pinza chirurgica. Cambiano invece i materiali: leghe sempre più sofisticate, metalli eccellenti, dall’acciaio al tantalio. E compaiono strumenti più complessi, dal gastrostato di inizio secolo per le anastomosi gastrodigiunali dopo resezione antrale, all’angiostato di Dogliotti per l’anastomosi porta-cava che faciliterà tutta la chirurgia dell’ipertensione portale ed a tutti gli altri angiostati per chirurgia vascolare e ferri per cardio o neurochirurgia, importati d’oltreoceano.
Ed evolvono anche i materiali di sutura. Nel 1876 era stato prodotto il catgut e prima ancora il lino e la seta. Nel 1920 compaiono gli aghi atraumatici, ossia ago e filo come tutt’uno, inscindibile ed i fili sintetici di nylon. Ci sarà in quel primo ‘900 un grande fermento alla ricerca di sistemi di sutura meccanica, come le anastomosi intestinali col bottone di Murphy.
Le vere cucitrici automatiche comparvero in Russia negli anni ’60: tecnologia primordiale ma di grande efficacia, come lo fu anche quella degli Sputnik per le esplorazioni spaziali. Subito dopo la ricerca americana dette i suoi frutti, nacquero gli Stapler e la chirurgia viscerale migliorò i propri risultati in maniera significativa. Le suture manuali, quelle con l’ago ed il filo, arretrarono di fronte alle macchine. Non basterà a risollevarne le sorti, la produzione di fili sintetici riassorbibili costituiti da acido di poliglicolico: sono solo un miglioramento tardivo di tecniche in declino. Il futuro, dicono gli esperti, verrà dalla chimica e sarà delle colle.
Con gli anni ’70 si apre la strada delle fibre di vetro e ne consegue uno straordinario sviluppo delle endoscopie. Poco dopo saranno gli ultrasuoni ed i laser ad arricchire
le sale operatorie- Infine, l’ultimo decennio è caratterizzato dalla chirurgia mininvasiva in ogni settore, nella chirurgia addominale, in quella toracica, in quella sottocutanea, in quella delle cavità articolari. È il momento della miniaturizzazione. È la volta della chirurgia endoluminale, in urologia, in chirurgia vascolare e cardiaca, in neurochirurgia. Si apre la strada della robotica, dell’informatica, della realtà virtuale.
La tecnologia diventa momento centrale nel lavoro del chirurgo e condiziona la qualità e lo sviluppo: nascono i chirurghi laparoscopici, i radiologi interventisti, i chirurghi endovascolari e gli endourologi, gli specialisti del laser, gli ecoendoscopisti, gli endoscopisti operativi. Ogni macchina richiede e definisce un proprio esperto, talvolta un nuovo chirurgo.
Ma altri grandi eventi hanno determinato il progresso della chirurgia nel 20° secolo. Prima di tutto gli antibiotici. Fleming scoprì la penicillina negli anni ’20 ma la sua efficacia e diffusione è storicamente legata alla II guerra mondiale. E simultaneamente nel 1922 era stata sintetizzata l’insulina ed avviata la regolazione farmacologica del diabete. Fu nell’insieme, la seconda svolta, dopo Lister e l’antisepsi, nella guerra alle infezioni.
L’altro grande progresso fu la terapia infusionale endovenosa e le emotrasfusioni, dopo la definizione dei gruppi sanguigni. Una grande strada di scoperte, dai derivati del sangue, alla separazione delle sue componenti, al suo recupero intraoperatorio, alla nutrizione parenterale totale.
E ancora il curaro ed i suoi derivati, proprio quello delle frecce mortali delle tribù indiane del Nord America. Saranno la tubocurarina prima e la succinilcolina poi, gli eredi naturali, che apriranno la strada all’anestesia per intubazione, alla baronarcosi, al cosiddetto rilasciamento muscolare, al controllo completo della funzione respiratoria in corso di intervento e di conseguenza, all’accesso chirurgico ideale nelle grandi cavità
toracica e addominale. L’anestesista diventa uno specialista a pieno titolo: per tutta la seconda metà del secolo sarà l’amico inseparabile del chirurgo. Ed assumerà anche altri profili altrettanto pregnanti, come rianimatore e terapista del dolore. Cambia in tal modo anche l’organizzazione del lavoro, o meglio, il percorso assistenziale dell’operato: non più dalla degenza alla sala operatoria e ritorno, nella commozione dei parenti al capezzale, ma dalla sala operatoria ai centri di terapia intensiva e subintensiva, nell’isolamento gelido e tecnologico, dove solo le macchine hanno voce, perché tutto ritorni come prima, presto e bene, nella trepidazione dei parenti bloccati dietro vetrate implacabili e nei corridoi dei passi perduti.
E nel rapporto tra malato, malattia, intervento, ricovero, ospedale, dimissione e convalescenza, tanta acqua è passata durante il 1900 modificando aspettative, offerte e richieste.
Nel 1925, quando il Re d’Italia si operò di ernia, i suoi diari rivelano che restò immobilizzato a letto dieci giorni. L’immobilità era considerata fondamentale. E non solo per l’ernia. Ad esempio, i chirurghi affrontano la prima Guerra mondiale con la generale convinzione che le ferite addominali non dovessero essere operate e che l’infermo dovesse restare immobile. Ci si riferiva alla dottrina di Reclus secondo il quale le piccole perforazioni intestinali guarivano per erniazione della mucosa e quelle grandi per accollamento delle altre anse, favorito dall’immobilità. Bastò quella guerra a smentire Reclus ed a spingere i chirurghi ad operare i poveri peritonitici. Non bastò invece per una riabilitazione più rapida del Re operato e degli altri milioni di erniosi prima e dopo di lui, sino a che non cambiò la filosofia e prevalse il concetto di pronta riabilitazione, di ritorno precoce a casa, di recupero stimolato della piena integrità.
All’inizio del Secolo il malato accedeva controvoglia
al ricovero, l’Ospedale veniva guardato come luogo di sofferenza e di morte. Meglio era curarsi a casa ed anche operarcisi. Solo con gli anni ’60 con le Riforme Ospedaliere e la qualificazione degli Ospedali, la gente acquista la fiducia nel ricovero, vi accede con la speranza di ritrovare la salute, di guarire con la chirurgia. Ed il ricovero e la degenza assumono addirittura un valore taumaturgico. La richiesta diventa di ricovero per ogni necessità, di ricoveri lunghi, di convalescenze tutte in Ospedale.
Un vento nuovo e diverso soffierà solo a fine secolo: la chirurgia sempre più sofisticata e meno invasiva comporta un trauma minore e l’aspirazione degli infermi è di giovarsi con fiducia di tutto il progresso, per avere cure ed interventi a rapida guarigione ed a breve degenza. Cambia perciò la struttura stessa dell’Ospedale: non più tante degenze ma tanti servizi. La gloriosa corsia Sistina dell’Ospedale Santo Spirito in Sassia di Roma, la più antica del mondo, 800 anni di vita celebrati nel 1998, forte di oltre 200 letti, cambia destino e diventa una straordinaria area monumentale per Convegni: tanti letti non servono più. L’Ospedale del Santo Spirito in Sassia costruito nel 1198, a ridosso della Basilica di San Pietro, per soccorrere i pellegrini e che nel massimo della espansione accoglieva sino a 1300 infermi, con l’ultima ristrutturazione del 1998 per far fronte ai bisogni del Giubileo del 2000, dilata i servizi e limita la propria area di degenza a 220 letti.
Nei venti anni a cavallo dell’inizio del XX secolo la chirurgia che sostanzierà i successivi decenni viene quasi tutta pensata, descritta e sperimentata. L’anestesia e l’antisepsi sono state le due condizioni permittenti ma morbilità e mortalità sono ancora troppo alte.
In quell’epoca, i libri di testo erano quelli di Medicina Operatoria di Francesco Occhini e di Durante e Leotta, Scuola romana: descrizioni anatomiche stupende, per la chirurgia degli arti, delle articolazioni ed anche
del tronco ma non dei visceri. La chirurgia toracica ed addominale, cosiddetta maggiore, ha ancora bisogno di decenni per essere sistematizzata. Lo farà negli anni ’40 Uffreduzzi e dopo la sua prematura morte lo completerà Dogliotti, Scuola di Torino, nel 1948 ed è il primo testo italiano di chirurgia completo ed enciclopedico. Trenta anni dopo sarà aggiornato da Angelo Paletto, erede della stessa Scuola.
Ma quale è stata la chirurgia durante il Secolo e quale la sua evoluzione? Si possono individuare tre fasi, separate dalle due guerre mondiali.
La prima fase può essere definita pionieristica ed è direttamente collegata alla seconda metà del secolo XIX: è la chirurgia asettica ed indolore ossia la chirurgia moderna che si misura con i nuovi grandi problemi passando dall’esterno all’interno del corpo umano. Il chirurgo diventa a sua volta internista, affronta la patologia viscerale, strappa ai medici competenze diagnostiche, propone la chirurgia digestiva, dello stomaco e del colon, quella urologica dei reni e della vescica, quella ginecologica e quella cranica per i traumi e non solo.
La chirurgia dello stomaco anche nelle mani di Billroth ha una mortalità alta. A Pèan, che in realtà aveva fatto la prima resezione gastrica per cancro, la paziente era morta subito. Anche Miles, quando propose e pubblicò nel 1910 la resezione addomino-perineale del retto, dovette riportare un’alta mortalità. I grandi clinici chirurghi italiani dell’epoca Durante, D’Antona, Bassini, Bottini, Bruno, Ceccherelli esitano molto di fronte a tante difficoltà e complicanze. Sposano con grande entusiasmo la chirurgia della tiroide, della mammella, dell’ernia, degli arti, delle ossa, del collo, della.faccia, della bocca e per tale via si avventurano nel cranio. Per queste chirurgie ci fu il grande riconoscimento internazionale con l’assegnazione, per tutti, a Kocher del Premio Nobel nel 1909 per la chirurgia della tiroide.
E prima della II guerra mondiale tutta la grande chirurgia viscerale era stata inventata.

Il primo intervento addominale in elezione coronato da successo fu di E. McDowell che nel 1809 asportò un voluminoso tumore ovarico.
Nella seconda metà del secolo XIX la chirurgia viscerale si legò al nome di Theodor Billroth, Clinico chirurgo di Vienna e padre della chirurgia resettiva dello stomaco, che propose la resezione gastrica distale nelle due ben note varianti ricostruttive con o senza esclusione duodenale. La prima resezione pilorica per cancro è probabilmente attribuibile a Pèan nel 1879 con esito sfavorevole. Billroth fu anche il primo ad eseguire la laringectomia totale.
Simultaneamente R. Von Volkman eseguiva le prime escissioni di cancro del retto e nel 1889 McBurney proponeva l’appendicectomia.
Nel 1890 Halsted a Baltimora introdusse, con l’uso dei guanti di gomma, anche il concetto di chirurgia regionale inventando la mastectomia radicale per cancro. Negli stessi anni Young eseguiva la prostatectomia.
Nel nuovo Secolo XX le tappe della chirurgia viscerale sono segnate nel 1906 da Wertheim con l’isterectomia allargata, nel 1910 da Miles con l’amputazione addomino perineale del retto, nel 1913 da Thorek con l’esofagectomia.

La guerra accelerò i tempi per la chirurgia nelle cavità celomatiche. Le suture intestinali e le resezioni viscerali dei feriti divennero uno straordinario laboratorio di progresso negli ospedali militari da campo, le cosiddette Ambulanze di Armata, dislocate sul fronte, comandate da grandi clinici come Giannettasio e Alessandri. Molti di quei feriti morirono ma molti guarirono testimoniando che la chirurgia addominale era possibile.
La seconda fase della chirurgia del XX secolo è quella dei capitani coraggiosi.
Dovunque nel Paese, in Ospedali grandi e piccoli, in condizioni ambientali certamente precarie, tutto quello che era stato descritto cominciò a diventare realtà pratica. Lo testimoniano gli Atti dei Congressi della Società Italiana di Chirurgia nei quali già figurano casistiche importanti di patologia e chirurgia viscerale sullo stomaco, sulle vie biliari, sul colon, non senza dispiaceri quanto a morbilità e mortalità

Analoga era la situazione in tutto il mondo. Hartmann, Chirurgo dell’Hotel Dieu di Parigi, pubblicando nel 1931 per la Masson il suo libro “Chirurgia del retto” riporta l’intera casistica del suo servizio di cinque anni tra il 1919 e il 1923, così sintetizzata: testa e collo 531 operazioni, 29 morti; torace e rachide 512 operazioni, 24 morti; fegato, milza e pancreas 160 operazioni, 17 morti; addome, stomaco ed intestino 1998 operazioni, 148 morti; ano e retto 485 operazioni, 14 morti; vie urinarie 87 operazioni, 8 morti.
Nel complesso 6747 interventi con 307 morti ossia una mortalità del 4,5%.
Ma nel dettaglio le cifre sono più dolorose, se si esamina la sola chirurgia viscerale vera e propria: 19 emicolectomie destre con 5 decessi, 11 resezioni del colon pelvico con 2 decessi, 202 gastroenterostomie posteriori con 30 decessi, 30 gastrostomie con 11 decessi, 16 amputazioni addomino-peritoneali del retto con 7 decessi e 30 amputazioni solo perineali del retto con 4 morti.
Delle 7 Miles decedute 2 morirono per cellulite pelvica, 1 per pielonefrite, 1 di pelviperitonite, 1 di polmonite bilaterale. Non è descritta la causa di morte dei due casi restanti.

Ed in quegli anni si completano le proposte tecniche sugli organi più difficili, il pancreas con Wipple nel 1935 ed il polmone con Graham nello stesso periodo. Ed anche prendono l’avvio gli studi sui trapianti che avevano ottenuto grande riconoscimento col Premio Nobel concesso a Carrel nel 1912. E si affaccia l’ipotesi della chirurgia cardiaca e vascolare con l’embolectomia dell’arteria polmonare proposta da Trendelemburg e realizzata anche a Roma in una notte del 1935 da Valdoni e Stefanini, poco più che trentenni.

La terza fase della Chirurgia del Secolo prende il via nella tragedia della II Guerra Mondiale quando con baronarcosi, emotrasfusioni ed antibiotici tutto diviene possibile. Dilaga la grande chirurgia viscerale ed anche quella del cuore, del polmone, del fegato, della aorta, dei trapianti e di tutte le protesi. Nasce lo slogan “grande taglio, grande chirurgo” o “grande chirurgo, grande taglio” ed ogni manovra sembra possibile e giustificata. La chirurgia dei tumori diventa regionale e radicale. Comincia la straordinaria avventura dei trapianti d’organo. Per tutto ciò, la morbilità conseguente sembra ragionevole e contenuta, l’invalidità, anche permanente ma inevitabile, la mortalità compatibile con la necessità e la speranza.
Sono gli anni delle gastrectomie totali, delle esofagectomie con ricostruzioni cervico-addominali, delle pneumonectomie intrapericardiche, delle pancreasectomie regionali con resezione vascolare, delle proctocolectomie totali, delle nefrectomie allargate, delle pelvectomie radicali, dei trapianti d’organo. La teoria e i risultati tecnici spingono a considerare questi interventi come la sola soluzione possibile soprattutto nel cancro. Le scuole chirurgiche si caratterizzano e competono proprio sulla aggressività e sulla estensione della exeresi. Per almeno 30 anni si avanza solo su questa strada.
Poi l’introduzione della quadrantectomia nel cancro della mammella, il rapido abbandono della mastectomia radicale devastante, aprono un’altra strada, quella della chirurgia ragionata, dell’exeresi più limitata, del rispetto dell’integrità dell’organismo, della invasività contenuta, del recupero delle funzioni organiche, della immagine corporea, della vita di relazione e di quella lavorativa. Ritrovano il loro legittimo ruolo, le gastrectomie subtotali, le resezioni coliche segmentane, le lobectomie polmonari mentre si discute e si studiano le linfoadenectomie e le terapie integrate.
La Tecnologia diventa, per questo nuovo credo, un potente motore. Di ogni organo la Chirurgia si limita ad asportare solo la parte malata, tentando di reinstaurare una sufficiente funzione e si cerca la strada per completare il risultato chirurgico con altre terapie. La riabilitazione diventa un momento fondamentale anche in chirurgia. Sorge la Chirurgia mininvasiva, quella con le sonde, quella del massimo rispetto del corpo. Tramonta l’ipotesi del “grande chirurgo, grande taglio”.
Su questo scenario si chiude il meraviglioso XX secolo.
La prospettiva è quella di un futuro ancora più straordinario per il quale si possono formulare tante stravaganti ed immaginifiche ipotesi ed una sola certezza: succederanno cose bellissime per la storia dell’uomo e per la sua salute. Per quanto riguarda i chirurghi in generale, sorge un grande dubbio, se cioè nello straordinario sviluppo tecnologico lo strapotere delle macchine non prevarrà sull’uomo e se insomma dopo tanti millenni il medico non debba lasciare il centro del campo diagnostico-terapeutico alla macchina, rassegnandosi a diventarne non l’utilizzatore ma l’assistente.

EVOLUZIONE DELLA CHIRURGIA NEL ‘900ultima modifica: 2010-02-17T12:11:00+01:00da admin
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