A 150 anni dalla nascita un profilo di Giacomo Puccini

Le melodie dell’amore che tutto il mondo conosce

Giacomo Puccini, uno dei più grandi, conosciuti e
amati compositori d’opera, nasce a Lucca nel 1858.
Quinto di sette fratelli, quando muore il padre, organi-
sta e compositore, ha sei anni e una gran voglia di an-
dare a caccia di uccelli sulle antiche mura della città.
L’estrema povertà e le lezioni d’organo imposte da
uno zio iracondo e severissimo che lo frusta sulle
gambe ad ogni piccolo errore, gli lasciano un segno
indelebile. Adulto e all’apice del successo e dell’agia-
tezza confida: «Ho sempre portato con me un gran
sacco di melanconia. Non ne ho ragione, ma così son
fatto». È scolaro svogliato, allievo disattento fino a
quando, sono le sue parole: «Il Dio Santo mi toccò col
dito mignolo e mi disse: scrivi per il teatro, bada bene,
solo per il teatro. E ho seguito il supremo consiglio».
A 25 anni si diploma al Conservatorio di Milano con
il massimo dei voti.
Puccini, l’uomo
Descriverlo in breve è praticamente impossibile.
Proverò con rapide pennellate. Alto, magro (in gio-
ventù), lineamenti delicati ad eccezione del naso
prominente, labbra sensuali, baffi ben curati, capelli castani, folti e ricci,passo ritmico ma un po’ dondolante, nella mano destra l’immancabile sigaretta, impeccabile in giacche da passeggio o da caccia. Il suo aspetto più
interessante e indefinibile è la personalità.
Fascino innato, modi signorili, battuta fulminante, senso dell’humor, sensibilità quasi femminea, profondo conoscitore del linguaggio teatrale e musicale, perfezionista, riservato, desideroso di solitudine e del contatto con la natura come fonte d’ispirazione.
MA è anche: grossolano, ossessionato dal trascorre-
re del tempo, egocentrico, pigro, appassionato cac-
ciatore, irriducibile giocatore di poker, accanito fu-
matore, esagerato a tavola, attirato dalla velocità in
auto e in barca, profondamente depresso, eccessiva-
mente esaltato e, al di sopra di tutto, dotato di una
carica sessuale prorompente che cerca di sbollentare
con innumerevoli e non sempre edificanti avventure.
Puccini e le donne
La sua attrazione per l’universo femminile è inesauri-
bile e complessa.
È dipendenza affettiva dalla madre, è amore-odio per
Elvira, la donna che per lui lascia marito e figli, lo tra-
volge con la passione e per tutta la vita lo schiavizza
con una devastante gelosia, è affascinazione per la
raffinata, colta moglie di un ricco banchiere londine-
se, è, forse solo maldicenza, la tresca con Dora la ser-
vetta suicida, è tardiva vampata dei sensi la relazione
consumata nelle pinete di Viareggio con una barones-
sa. E per una misteriosa torinese? E per le altre innu-
merevoli infedeltà che candidamente chiama “i miei
piccoli giardini”? Puccini per sua stessa ammissione
non sa amare la donna reale. I suoi amori veri sono le
donne delle sue opere che avvolge con l’inconfondi-
bile onda delle sue melodie che “invitano all’amples-
so”. Manon, Mimì, Tosca, Cio Cio San, Liù, Turandot
e tutte le altre sue eroine non sono che le sfaccettature
del suo inappagato bisogno d’amore.
Puccini padre
Vive in modo conflittuale anche questo legame. Acco-
glie paternamente Fosca, la figlia di primo letto di El-
vira, ma con Antonio, il figlio naturale, illegittimo fi-
no a 18 anni, vive un rapporto segnato da contrasti e
tensioni. Puccini gli scrive lettere affettuose, lo stima
un “gran bravo e buon figliuolo”, ma si insinua il dub-
bio che cerchi in lui soprattutto un paciere, un alleato
comprensivo nella tormentata convivenza con la ma-
dre Elvira. Antonio, nei dolorosissimi momenti della
malattia, gli sarà amorevolmente vicino.
Puccini e la malattia
Verso la fine del 1923, a 65 anni accusa mal di gola e
tosse insistente. Dalle visite specialistiche non risulta
niente di allarmante: è una semplice infiammazione
reumatica e gli consigliano cure termali. Da Monteca-
tini scrive: «Il male è al solito. La cura non mi fa nul-
la». È sfiduciato, depresso e per mesi non compone
una nota per “Turandot”, l’opera che segna il rinnova-
mento del suo linguaggio musicale. Il male alla gola
non passa. Si sottopone ad altre visite e ancora dico-
no: è solo un’infiammazione, forse, causata da un os-
so d’oca che tempo prima gli si è conficcato in gola. Il
figlio organizza un consulto con tre eminenti speciali-
sti e la diagnosi è: papilloma maligno sotto l’epi-
glottide in stadio avanzato. Il 4 novembre 1924, ac-
compagnato dal figlio, parte per Bruxelles dove prati-
cano un innovativo trattamento antitumorale.
Porta con sè gli abbozzi del duetto d’amore e del finale di “Turandot”, ma con impressionante, lucida profezia confida: «L’opera verrà rappresentata incompleta e poiqualcuno uscirà alla ribalta e dirà al pubblico: «A questo punto
il Maestro è morto». Il trattamento si svolge in due
tempi: applicazione esterna di radium, poi l’operazio-
ne, sottovalutando purtroppo il diabete di cui Puccini
soffre da tempo. È il 24 novembre: l’intervento con la
sola anestesia locale, dura 3 ore e 40 minuti. La sua
gola è trapassata da sette aghi imbevuti di radium e in-
seriti nel tumore.
Nella lettera ad un amico scrive: « (….) Sono in croce
come Gesù! Spilli di cristallo nel collo e un buco per
respirare, anch’esso nel collo (….) Dio mio che orro-
re! Dio mi assista!». Soffre moltissimo per la ferita,
per la sete, viene nutrito attraverso il naso, non può
parlare. Inspiegabilmente tra i medici aleggia un certo
ottimismo. La sera del 28 novembre ha un collasso
cardiaco. Ancora cosciente riceve i Sacramenti. Si
spegne all’alba del 29 novembre 1924.
La prima rappresentazione di “Turandot” va in scena
al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926. L’or-
chestra si interrompe alle ultime note composte per la
piccola, infelice schiava Liù. In un silenzio irreale Ar-
turo Toscanini pronuncia esattamente le parole previ-
ste dal compositore: «A questo punto il Maestro è
morto».
L’angosciosa impotenza di una diagnosi tardiva, l’in-
cognita, forse velata di speranza, di un’operazione al-
l’epoca d’avanguardia, per Puccini hanno imboccato
il tunnel buio di un tragico epilogo. Ma era il 1924, un
tempo lontano anni luce dall’attuale progresso della
medicina e della chirurgia. Oggi Puccini potrebbe an-
cora regalarci quelle sue splendide melodie che arri-
vano diritte al cuore.
Giò Zanuso
Testo consultato: Mosco Carner “Giacomo Puccini”
Ed. Il Saggiatore

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al Conservatorio di Milano con
il massimo dei voti
A 150 anni dalla nascita un profilo di Giacomo Pucciniultima modifica: 2009-11-10T12:09:00+01:00da admin
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