Tumori: cancro terremoto su lavoro per 8 pazienti su 10, nasce ‘Pro Job’



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Articolo pubblicato il: 12/05/2014

Milano, 12 mag. (Adnkronos Salute) – Dopo la malattia il terremoto sul lavoro. Fare i conti con il cancro significa anche questo. Il risultato, spesso, è devastante: meno redditi e più costi per i pazienti. Dopo la diagnosi, infatti, il 78% dei malati oncologici subisce un cambiamento nel lavoro: il 36,8% è costretto a fare assenze, uno su 5 lascia l’impiego e il 10,2% si dimette o cessa l’attività (in caso di lavoratore autonomo). Pochi conoscono e utilizzano le tutele previste dalle leggi per facilitare il mantenimento e il reinserimento: solo il 7,8% ha chiesto il passaggio al part-time, un diritto di cui è possibile avvalersi con la legge Biagi, poco meno del 12% ha beneficiato di permessi retribuiti (previsti dalla Legge 104/1992), il 7,5% ha utilizzato i giorni di assenza per terapia salvavita e il 2,1% i congedi lavorativi.

E’ la fotografia scattata oggi a Milano dove è stato presentato ‘Pro Job: lavorare durante e dopo il cancro – Una risorsa per l’impresa e per il lavoratore’, un progetto dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), in collaborazione con l’università degli Studi del capoluogo lombardo, la Fondazione ‘Insieme contro il cancro’ e l’Istituto nazionale tumori della metropoli. Obiettivo: superare gli ostacoli che rendono difficile la vita dei pazienti sul lavoro e sensibilizzare le aziende sulle opportunità disponibili. I dati diffusi (dall’indagine Censis-Favo) evidenziano che le forme di gestione flessibile per conciliare lavoro e cure oncologiche sono ancora poco note e non influiscono in modo significativo sulla vita dei molti pazienti coinvolti. Questa situazione interessa anche i ‘caregiver’, familiari o amici che assistono i malati in modo continuativo. Scarso anche per loro il ricorso agli strumenti legislativi e regolatori: il 26% utilizza i congedi lavorativi e solo il 7% le varie forme di tempo parziale, verticale e orizzontale, con riduzione proporzionale dello stipendio, previsto dal decreto legislativo 61/2000.

“Secondo un sondaggio Piepoli-Aimac – spiega Francesco De Lorenzo, presidente dell’Aimac – il 91% delle persone malate vuole continuare a lavorare ed essere parte attiva della società. E’ importante che Pro Job venga adottato dal maggior numero possibile di realtà imprenditoriali”. Il progetto ha vinto il premio ‘Sodalitas Social Innovation’ ed è oggi al centro del convegno in Statale ‘Lavorare durante e dopo il cancro’, che apre gli eventi legati alla IX Giornata nazionale del malato oncologico (l’edizione di quest’anno sarà celebrata a Roma dal 16 al 18 maggio).

Nel 2013 in Italia si sono registrati 366 mila nuovi casi di tumore. E sono circa 700 mila le persone con diagnosi di cancro in età produttiva. “Pro Job – sottolinea Elisabetta Iannelli, segretario della Fondazione Insieme contro il cancro – mira a promuovere l’inclusione dei pazienti oncologici, a sensibilizzare i dirigenti perché creino condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, ad agevolare i dipendenti che hanno parenti colpiti da tumore a conservare l’impiego e a disincentivare il ricorso inadeguato a procedure per fronteggiare le difficoltà determinate dalla patologia”. Evidenze scientifiche, aggiunge Francesco Cognetti, presidente di Insieme contro il cancro, “dimostrano che il lavoro aiuta a guarire e a seguire meglio i trattamenti, ma servono nuovi strumenti per non escludere i malati dal mondo produttivo. E’ essenziale che il mondo delle imprese comprenda che i malati oncologici possono e devono lavorare, ma non necessariamente come prima della diagnosi”.

L’azienda in grado di sviluppare il progetto Pro Job, conclude Michele Tiraboschi, professore di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, “potrà valorizzare il proprio capitale umano permettendo, da un lato, ai dipendenti malati di cancro di recuperare parte del proprio benessere e di ritrovare velocemente motivazione, impegno e capacità produttiva, dall’altro ai familiari di continuare il lavoro, senza rinunciare all’assistenza del malato, avvalendosi del part time. Tutto ciò a beneficio sia del lavoratore che dell’azienda”.

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CONTROCORRENTERichard Smith: “Il cancro è il miglior modo per morire”

Richard Smith: "Il cancro è il miglior modo per morire"

Non ha dubbi il dottor Richard Smith, ex direttore del British medical Journal: “Il cancro è la migliore morte possibile, basta spendere soldi per curarlo”. Una frase forte che ha scatenato molte polemiche e che il dottore argomenta spiegando che la malattia permette a chi la contrae di salutare i propri cari. Nel suo blog, il dottor Smith confronta la morte per tumore con quella improvvisa o  la morte per demenza: “Si può dire addio, riflettere sulla propria vita, lasciare un ultimo messaggio, visitare luoghi speciali per l’ultima volta, ascoltare le canzoni preferite, leggere le poesie più amate e prepararsi a godere l’eterno oblio”. Secondo il medico la morte improvvisa lascia “in sospeso” molte cose: chiarimenti non fatti, parole non dette, etc. Per questo il dottore, che si fa portatore di una tesi così forte,  consiglia tutti di stare lontano dagli oncologi “troppo ambiziosi” e di smetterla “di sprecare miliardi cercando di curare il cancro, per poi lasciarci morire di una morte potenzialmente molto più orribile”.

La critica– Il professor Jonathan Waxman, un oncologo leader presso l’Imperial College di Londra specializzata nel cancro alla prostata, è durissimo  contro Smith: “Non posso essere d’accordo sullo spreco di soldi per la ricerca sul cancro”, dice Waxman. “Significherebbe dire che non valeva la pena di fare un investimento che ha portato ad un massiccio miglioramento dei tassi di sopravvivenza. Le morti per cancro al seno sono scesi da 17.500 a 11.700 in 25 anni – questo è un risultato favoloso”.

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Focus sul cancro al cavo orale: come difendersi

Fattori di rischio, sintomi, diagnosi e novità chirurgiche per i tumori testa-collo che colpiscono ogni anno 600mila persone nel mondo. Le neoplasie alla faringe e alla laringe rappresentano quasi il 5% del totale. Intervista agli specialisti.

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Focus sul cancro al cavo orale: come difendersi

Con la collaborazione delle dottoresse Maria Benevolo, Anatomia Paologica IRE, e Maria Gabriella Donà, Dermatologia Infettiva San Gallicano, e del Prof. Giuseppe Spriano, direttore di Ototrinilaringoiatria e Chirurgia testa-collo IRE.

 

L’arma più forte è sempre la prevenzione. Nell’oncologia lo si ripete spesso. La diagnosi precoce dei sintomi, infatti, per gran parte dei tumori, permette di alzare fino al massimo le possibilità di cura e con esse le probabilità di dire: “ce l’ho fatta, ho sconfitto il mio nemico”. Non sempre però è facile accorgersi in tempo dei sintomi o dar loro il giusto peso. È il caso dei tumori al cavo orale.

Nel mondo, il cancro di faringe e laringe rappresentano quasi il 5% di tutte le neoplasie. Quelli riconducibili in generale alla categoria testa collo (cavità orale, faringe, laringe, rinofaringe e ghiandole salivari) colpiscono ogni anno 600mila persone a livello globale. Oltre 350mila è il calcolo dei decessi. I sintomi sono raucedine persistente, mal di gola, bruciore alla lingua o lesioni alla bocca, gonfiore al collo, difficoltà a deglutire, naso chiuso o sanguinamento. Gli esperti consigliano di rivolgersi al medico se uno di questi segnali perdura per 3 settimane.

Nonostante si localizzino in un’area per tutti noi semplice da controllare anche solo davanti allo specchio, questo tipo di neoplasie rischiano a volte di essere diagnosticate solo quando sono a uno stadio avanzato (2 pazienti su 3). Eppure le cure, così come la chirurgia, ha compiuto passi da gigante e permette di aumentare le aspettative di vita (più dell’80% dei pazienti è sopravvive dopo i 5 anni se diagnostica precocemente il cancro). Ce lo spiegano in questa intervista il Prof. Giuseppe Spriano, direttore di Ototrinilaringoiatria e Chirurgia testa-collo dell’IRCCS Regina Elena di Roma, e le dottoresse Maria Benevolo, del reparto di Anatomia Paologica, sempre dell’Istituto specializzato nella terapia dei tumori,  e Maria Gabriella Donà, di dermatologia Infettiva dell’IRCCS San Gallicano di Roma.

 

Come si manifestano e quali sono i consigli per la diagnosi precoce dei tumori al cavo orale?

I tumori del cavo orale si manifestano come ulcerazioni a margini irregolari, dolenti. Negli stadi avanzati, inoltre, con la difficoltà alla deglutizione e all’articolazione della parola.

 

Quando si può dire che la diagnosi è precoce?

A dispetto di quanto appena detto spesso la diagnosi non è precoce perché il paziente sottovaluta i sintomi e perde tempo, come pure il medico o il dentista. Ovviamente le possibilità di cura aumentano se il tumore viene riconosciuto in stadio iniziale e la cura è meno invasiva.

 

Quali sono gli esami a cui viene sottoposto il paziente per la diagnosi?

L’esame più importante è proprio quello di sottoporsi ad una visita otorinolaringoiatrica. In fase pre-operatoria verranno eseguiti esami diagnostici (ecografia, Tac o risonanza magnetica) per valutare l’estensione della malattia e l’eventuale presenza di metastasi linfonodali.

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Tumore della laringe: 6 pazienti su 10 superano la malattia

tumore laringeIn Italia il 60% dei pazienti con cancro alla laringe guarisce dalla malattia. E la percentuale sale a oltre il 90% se la patologia viene diagnosticata allo stadio iniziale. All’inizio degli anni ’90, invece, solo il 50% dei malati sconfiggeva la neoplasia. “Si tratta della più diffusa e frequente forma di tumore della testa-collo – afferma il prof. Giuseppe Spriano Presidente nazionale della Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale (SIOeChCf) in un seminario tenutosi oggi -. Ogni anno queste neoplasie colpiscono 12.000 italiani e il loro numero è in aumento a causa anche di comportamenti scorretti sempre più diffusi. Chi assume alcol corre, infatti, un rischio 3 volte maggiore di cancro al cavo orale, faringe ed esofago rispetto ad un astemio. Nel nostro Paese è in aumento il consumo di alcolici, soprattutto tra i giovanissimi. Il 44% degli under 25 italiani beve regolarmente fuori dai pasti, erano “solo” il 34% 10 anni fa”. Il carcinoma alla laringe si manifesta con alterazioni della voce (disfonia). Quando invece è più esteso provoca difficoltà e dolore alla deglutizione, tosse e, a volte, la comparsa di tumefazioni al collo. La diagnosi di sospetto tumore della laringe viene di solito svolta dallo specialista Otorinolaringoiatra con una visita accompagnata da una fibrolaringoscopia. “Si utilizza uno strumento a fibre ottiche sottile che, introdotto nella gola del paziente attraverso il naso, permette di vedere le corde vocali e le altre strutture della laringe – sottolinea il prof. Giuseppe Spriano -. In caso di sospetto clinico si effettuerà una biopsia”. Il bisturi rappresenta in molti casi la soluzione definitiva contro la malattia. “Oggi le operazioni sono meno invasive – prosegue Spriano -. In passato l’unico intervento possibile era la laringectomia totale, cioè l’asportazione completa della laringe che provocava la perdita della voce e la tracheotomia definitiva per la respirazione. Oggi grazie alla chirurgia endoscopica è possibile rimuovere tumori poco estesi, utilizzando il laser attraverso la bocca. Nelle neoplasie di media grandezza si svolgono laringectomie parziali. In questo caso viene asportata solo una parte della laringe in modo da permettere al paziente di parlare, respirare e deglutire normalmente. Negli ultimi due anni è stata introdotta anche la chirurgia robotica, che permette di eliminare il cancro inserendo due piccole mani chirurgiche attraverso la bocca del paziente. Queste replicano i movimenti dello specialista che si trova invece ad una consolle operatoria distante dal paziente”. E’ possibile prevenire queste forme di cancro intervenendo sugli stili di vita e sottoponendosi a visite dallo specialista. “L’80% dei tumori della testa-collo sono riconducibili ad alcol e sigarette – conclude il Presidente degli otorini -. Per evitare la malattia è fondamentale seguire stili di vita sani e quindi niente fumo, limitare il più possibile gli alcolici, seguire una dieta sana ed equilibrata e svolgere attività fisica tutti i giorni. Un accanito bevitore o un forte fumatore invece dovrebbe sottoporsi a visite otorinolaringoiatriche periodiche, magari una volta l’anno a partire dall’età dei 50 anni in su”.

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Cura del cancro e maltolo, bufala?


Cancro e maltolo. Alcuni mi hanno chiesto quanto sia vera la notizia che circola sempre più su Facebook e via email rispetto una “nuova cura per il cancro”, “basata sul maltolo” e “tenuta nascosta dalle multinazionali e dai mezzi di informazione”.

In particolare a essere diffuso è un video nel quale appare un sedicente giornalista. Parla di un paio di “ricercatori precari” di Urbino, che avrebbero scoperto una fenomenale “molecola naturale”, il maltolo, in grado di far “suicidare le cellule tumorali”. Nessuno parlerebbe della cura perché le multinazionali stanno cercando di oscurare il fatto e i media, conniventi, non danno quindi la notizia.

Bene: è falso.

O meglio – come spesso succede in questi casi – la notizia è in parte vera: ma è talmente sommersa di generalizzazioni, complottismi, false rivelazioni e misteri da essere talmente diluita da non aver quasi più alcun elemento di verità (un po’ come nei principi dell’omeopatia). Sfortunatamente, utilizzare elementi veri aggiungendo dosi di “mistero” e “complotto” è tipico delle bufale. Chiunque le alimenti, in buona o in cattiva fede, genera false speranze, false aspettative, e illude malati e famiglie. Vediamo prima di tutto le falsità presenti nel video che circola:

  1. Non risulta che nessuna “multinazionale del farmaco” (cit.) stia cercando di ostacolare la ricerca in questione, al contrario: quanto scoperto è stato oggetto di brevetto in Italia e se ne è parlato in pubblicazioni scientifiche.
  2. Per quanto concerne i “ricercatori precari”. Beh, il primo non è ricercatore e neanche precario:Vieri Fusi è infatti professore associato dell’Università di Urbino (pagina personale di Vieri Fusi).Mirco Fanelli risulta invece occuparsi del “laboratorio di PatologiaMolecolare” e nelle pagine dell’università è definito ricercatore dal 2002 a oggi. Quindi, salvo imprecisioni, deve essere “ricercatore confermato” e non precario (pagina personale di Mirco Fanelli).
  3. La notizia non è affatto nuova, è del marzo 2013 e deriva da studi di cui già si era parlato anche precedentemente.
  4. Non è vero che i giornali hanno oscurato la notizia, al contrario: è stata annunciata su molte testate tra le quali Corriere della SeraIl Sole 24 OrePanoramaIl Resto del Carlino, e dalla principale agenzia stampa italiana, l’ANSA. Proprio perché molto se ne è parlato, uno dei due soggetti ha sentito la necessità umana di chiarire commentando un articolo in proposito sul magazine dell’università relativa con un messaggio che copio di seguito (la sede del messaggio è un forte indizio a supporto dell’indentità dell’autore, poi intervistato a proposito, ma la cosa è comunque facilmente verificabile).
  5. Semplificare quando si parla di temi così specifici non è sfortunatamente possibile. Ci sono tipi di neoplasie molto differenti, per caratteristiche, dimensioni, eziologia, risposta alle cure… La semplice frase “cura per il cancro” non è tecnicamente corretta e dovrebbe quindi da subito far nascere qualche sospetto.

Passiamo ora agli aspetti reali della notizia, ovvero alla ricerca che è in effetti stata effettuata. Il messaggio pubblicato da Fanelli chiarisce più di quanto potrebbero fare altri rispetto questa cosiddetta “cura al maltolo per il cancro” (i grassetti sono miei):

Mi sento di esternare un ringraziamento a tutti coloro che hanno condiviso con noi i risultati della nostra attività di ricerca. Come spesso capita in queste situazioni, e toccando certi argomenti, si rischia di far trapelare messaggi non corretti. Ci tengo a precisare che le molecole che abbiamo brevettato non devono essere considerate la soluzione nella lotta contro il cancro. Siamo in una fase sperimentale che sta dando ottimi risultati ma ancora lo-ntana dalla sperimentazione clinica. Mi duole dover disilludere le persone che mi chiamano chiedendomi se possiamo sperimentare le nostre molecole sulle persone a loro vicine affette da tumore. Mi duole che, con gli articoli di questi giorni, si sia alimentato un clima di false speranze. Siamo ricercatori e non è nelle nostre intenzioni vendere fumo. Le nostre molecole ad oggi sono promettenti……la futura attività di ricerca dimostrerà se sarà possibile utilizzarle nell’uomo e con quali benefici. Vi ringrazio moltissimo, ci state fornendo una grossa motivazione…..grazie a tutti. Mirco Fanelli

In sostanza: come in molti altri casi, si tratta di test di laboratorio che non si sa se possa essere replicati sull’essere umano. Senza scendere nel tecnico, sarebbero state sintetizzate due molecole (chiamate malten e maltonis) con la capacità di indurre alterazioni della cromatina (se ne parla anche in un articolo scientifico a loro firma). Da questo stadio a quello – eventuale – della sperimentazione sull’uomo passano di solito anni, quando va molto bene mesi. Altri anni sono poi necessari per valutare i risultati e applicare eventualmente il tutto su scala più ampia.

La ricerca è quindi in fase iniziale e sarà – forse – approfondita in futuro, nella speranza che possa portare risultati. Risultati che però attualmente sono molto distanti e il cui esito positivo è assolutamente non prevedibile. Affermare oggi che si tratti di una cura contro il cancro è quindifalso, come specificato anche dagli stessi autori. Così come è falso tutto il quadro dipinto negli appelli che circolano: niente oscuramenti, niente connivenze, niente complotti.

Molto più vero, semmai, il fatto che all’università manchino i soldi per farla, questa ricerca. Se di ciò si parlasse negli appelli (e magari anche in parlamento), evitando i complottismi, la questione sarebbe probabilmente un po’ più produttiva.

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L’aloe cura il cancro?

L’aloe cura il cancro?

NO, ad oggi non esistono studi scientifici che dimostrano un ruolo certo dell’Aloe vera nella prevenzione o nella cura del cancro anche se alcuni dei composti contenuti nella pianta sono attualmente in fase di studio.

In sintesi

Secondo alcune teorie non scientificamente dimostrate, l’Aloe vera – una pianta piuttosto comune anche in Italia – sarebbe in grado di curare molti tipi di tumore, anche quelli in fase avanzata.
I numerosi studi scientifici condotti sull’argomento non hanno finora dimostrato in modo chiaro e indiscutibile che i composti a base di Aloe possano prevenire o curare il cancro nell’uomo.
Gel e creme a base di Aloe possono essere in genere utilizzate per il trattamento di alcuni problemi cutanei, come piccole ferite o bruciature senza effetti collaterali gravi.
Anche se spesso ritenuta innocua perché “naturale”, in casi particolari l’Aloe può interferire con l’azione di alcuni farmaci e può causare gravi problemi alla salute, in alcuni casi addirittura letali.
Conoscere la pianta

L’Aloe è una pianta molto comune anche nel nostro Paese: le sue foglie spesse e carnose la fanno assomigliare a un cactus, ma dal punto di vista della classificazione botanica è molto più simile all’aglio e alla cipolla. Ne esistono moltissime varietà (la più nota è senza dubbio l’Aloe vera) dalle quali si possono ottenere due tipi di prodotto: il gel contenuto nella parte centrale della foglia e una sostanza chiamata lattice che si trova invece immediatamente sotto la parte verde ed esterna della foglia. Il succo che deriva dalla foglia intera contiene quindi entrambe le sostanze.
Un rimedio antico

Per saperne di più
La posizione dell’American Cancer Society sull’utilizzo dell’Aloe e dei suoi derivati per il trattamento del cancro (in inglese)
I derivati di questa pianta sono noti sin dall’antichità come rimedio per diversi piccoli problemi di salute, soprattutto legati alla pelle e se ne parla già in Mesopotamia, circa 1500 anni prima di Cristo, nell’Egitto dei Faraoni e tra gli antichi greci e romani. La proprietà più apprezzata dai medici del passato era senza dubbio l’effetto cicatrizzante, che rendeva l’Aloe adatta a curare piccole ferite, escoriazioni e bruciature, ma nel tempo la pianta ha assunto un ruolo importante anche come antibatterico e lassativo. Un rimedio popolare ben noto quindi, ma come nasce l’idea che l’aloe possa curare il cancro? Uno dei principali sostenitori di questa teoria, mai dimostrata da studi scientifici nell’uomo, è padre Romano Zago, un francescano nato in Brasile nel 1932, che in una sua pubblicazione descrive le proprietà quasi “miracolose” di questa pianta, capace di curare rapidamente anche i tumori in fase avanzata. La pubblicazione ha fatto scalpore e ha dato anche il via a numerosi studi scientifici, che però non hanno ottenuto risultati convincenti e non hanno quindi dimostrato la teoria.
I risultati della ricerca oncologica

Anche se a oggi non ci sono prove certe dell’efficacia dell’Aloe nella prevenzione o nella cura del cancro, i ricercatori stanno valutando con attenzione gli effetti sull’organismo di alcune delle sostanze contenute in questa pianta e i meccanismi molecolari che li determinano. Prima di descrivere tali molecole è importante però sottolineare che molti degli studi finora effettuati e che hanno fornito in alcuni casi risultati interessanti sono stati condotti solo in vitro, cioè in provette e su cellule coltivate in laboratorio, oppure su particolari modelli sperimentali, ma non nell’uomo. Questo significa, in pratica, che i dati oggi disponibili non sono sufficienti ad affermare che le sostanze studiate sono efficaci e sicure anche nelle terapie umane.
Di fronte ai numerosi composti attivi presenti nell’Aloe, l’attenzione degli esperti si concentra soprattutto su alcune molecole capaci di influenzare il sistema immunitario come per esempio l’acemannano, che in modelli sperimentali è in grado di stimolare la produzione di molecole chiamate citochine, o l’aloeride, un forte stimolante del sistema immunitario. L’emodina contenuta nelle foglie di Aloe vera, blocca in vitro la crescita delle cellule e stimola l’apoptosi, ovvero il processo di “morte programmata”, fondamentale nella lotta contro il cancro perché permette all’organismo di eliminare le cellule tumorali. Alcuni studi in vitro hanno dimostrato in particolare che l’emodina è efficace contro le cellule di tumore di testa-collo e di tumore del fegato. Infine il DEHP, sigla che indica il di(2-etilesil)ftalato, blocca le cellule di leucemia in modelli in vitro.
E nell’uomo?

Sono molti gli studi condotti per capire se l’Aloe e i suoi derivati sono in grado di eliminare o almeno ridurre gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici classici, in particolare chemio e radioterapia. Nel 2005 sono stati pubblicati i risultati di una ricerca che ha preso in considerazione gli studi che valutavano la capacità dell’Aloe di prevenire i danni della radioterapia a livello della cute. Secondo questi dati, il gel di Aloe applicato direttamente sulla pelle non porta alcun vantaggio. Conclusioni simili anche per uno studio del 2011 che ha valutato invece il ruolo del gel di Aloe nella prevenzione della mucosite, un problema della bocca piuttosto comune per chi si sottopone a chemioterapia: non sono emerse prove che l’Aloe sia efficace, anche se, al di là dei numeri, molti pazienti hanno percepito come utile il trattamento con questo gel. Per quel che riguarda invece gli effetti sulla crescita cellulare, al momento attuale non è stato possibile replicare sull’uomo i dati ottenuti su colture di laboratorio.
Rischi da non sottovalutare

Sulla scia delle teorie che vedono l’Aloe come trattamento anticancro, nel 1996 un’azienda statunitense ha cominciato a produrre e a immettere sul mercato un concentrato di Aloe noto con il nome di T-UP che poteva essere ingerito per via orale o iniettato per via intravenosa e veniva presentato come terapia per cancro, AIDS, herpes e altri disturbi autoimmuni. Dopo pochi anni, le autorità sanitarie hanno però bloccato la vendita di questo “farmaco” e i produttori sono stati accusati di frode, vendita di farmaci non approvati e cospirazione, proprio perché le affermazioni diffuse con il prodotto erano false e potevano rivelarsi molto pericolose e fuorvianti per i pazienti. Le iniezioni del composto si sono addirittura rivelate fatali per alcuni di essi. Oltre a queste reazioni particolarmente gravi, non bisogna dimenticare che i principi attivi contenuti nell’Aloe possono essere causa di disturbi molto fastidiosi. Capsule, compresse e succo in forma liquida possono causare problemi intestinali come diarrea, dolore addominale, nausea e vomito provocati soprattutto dalla presenza di antrachinoni, molecole con potente azione lassativa, mentre chi assume già farmaci o altri supplementi a base di erbe deve prestare attenzione alle interazioni: capita infatti che i derivati dell’Aloe interferiscano con altri principi attivi causando per esempio problemi alla coagulazione del sangue. E anche se decisamente meno comuni, si possono verificare reazioni allergiche a gel e creme a base di Aloe soprattutto se utilizzati per periodi molto lunghi: sono più a rischio coloro che già sanno di essere allergici a cipolla, aglio, tulipani e piante simili.
In conclusione

Gel e altri derivati dell’Aloe sono utilizzati in molte preparazioni cosmetiche e gli studi dimostrano che in genere applicare sulla pelle il gel derivato dalla pianta non è pericoloso e può contribuire alla cura di piccole ferite o ustioni leggere. Il discorso cambia di fronte a capsule e sciroppi che possono causare effetti collaterali anche gravi. Una cosa è certa: a oggi non esiste alcuna dimostrazione scientifica chiara dell’efficacia di questa pianta come terapia anti-cancro. Pensare di sospendere le terapie prescritte dall’oncologo o di assumere contemporaneamente derivati dell’Aloe può essere una decisione molto pericolosa per la salute.

 

C’è il convegno Asl sulle neoplasie della laringe

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Si svolgerà sabato (10 maggio) nell’auditorium del centro sanitario di Capannori, in piazza Aldo Moro, il convegno organizzato dalla struttura di Otorinolaringoiatria dell’ospedale di Lucca, diretta da Riccardo Mario Piane, dal titolo La gestione multidisciplinare delle neoplasie maligne della laringe. L’evento è inserito anche quest’anno nel calendario dell’associazione italiana oncologia cervico cefalica (Aiocc) e permetterà di ospitare a Lucca importanti specialisti provenienti da tutta Italia. I responsabili scientifici del convegno, insieme a Piane, sono Fausto Chiesa di Milano e Giuseppe Spriano di Roma.

Ancora oggi, malgrado l’esistenza delle linee guida – si legge nel razionale dell’iniziativa –  la possibilità di continui aggiornamenti e i progressi nel campo della diagnostica e della terapia (soprattutto nel campo del tumore testa-collo), si riscontra una certa difficoltà nella gestione dei pazienti affetti da tali patologie, soprattutto per la reticenza di molti nell’utilizzare un “linguaggio comune”. Questo succede soprattutto quando non viene effettuata una valutazione multidisciplinare (chirurgo, radiologo, radioterapista, oncologo, anatomopatologo). A complicare ulteriormente le cose è necessario sottolineare come gli studi in letteratura su queste patologie vengano condotti e presentati spesso in maniera settoriale e con poche possibilità di confronto obiettivo tra gli attori coinvolti. Il convegno vuole essere l’espressione pratica per stimolare questo confronto, mettendo in evidenza le controversie, le problematiche della multidisciplinarietà, ma allo stesso tempo la grande positività della stessa per il medico e principalmente per il paziente. In questo incontro l’attenzione è incentrata in particolare sui tumori della laringe.

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“Un italiano su due si ammalerà di cancro”

Società malata

L’allarme di Veronesi: “Un italiano su due si ammalerà di cancro”

Umberto Veronesi

«Era il 2 luglio 1981 e un articolo in prima pagina sul New York Times cambiò la storia del cancro al seno. Parlava del mio intervento mini-invasivo che, senza quel pezzo, sarebbe rimasto una pubblicazione scientifica di poche pagine dimenticata in un cassetto». Umberto Veronesi, fondatore e direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia-Ieo di Milano che questa primavera compie 20 anni, sceglie un aneddoto personale per lanciare un appello al mondo del giornalismo: «Dobbiamo cercare di trovare un accordo, un’alleanza, per combattere insieme la sfida più grave che l’umanità deve affrontare dall’inizio dei tempi, il cancro». Una vera e propria chiamata alle armi contro «una malattia epidemica stravolgente: 50 anni fa si ammalava di tumore un italiano su 30, oggi si ammala uno su 3 e futuro si ammalerà uno su 2», avverte l’oncologo che ieri, all’università Iulm di Milano, ha partecipato all’incontro ’I media nella lotta al cancro’.

L’appello – Dimenticare i tempi in cui il cancro non si poteva neppure nominare e veniva chiamato ’male inguaribile’, e vincere i tabù informando correttamente l’opinione pubblica e insegnandole a credere nella scienza, «oggi poco amata dalla nostra popolazione». È questa la richiesta che Veronesi ha rivolto alle firme note intervenute con lui nell’Aula magna dell’ateneo, per il primo confronto pubblico sulla comunicazione in campo oncologico. «Dei 20 milioni di italiani che oggi sviluppano un tumore nel corso della vita – è il messaggio dell’ex ministro della Sanità – 14 milioni, il 70%, potrebbero essere salvati con la prevenzione e la diagnosi precoce».

I direttori rispondono – Da parte sua Monica Maggioni, direttore di RaiNews24, ha evidenziato “la responsabilità di fronte a certe notizie come quella in cui l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella, per evitare che il giorno dopo ci fosse la fila di donne a imitarla”. Mario Calabresi, direttore de La Stampa, parlando del timore di usare la parola cancro sui giornali, ha ricordato che quando intervistò Silvio Berlusconi sul suo tumore alla prostata, “la condizione che pose per rilasciare l’intervista fu che non usassimo in prima pagina la parola cancro, se no le persone lo avrebbero guardato come se fosse a scadenza, come si guardano i denti ai cavalli”.

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Arance della Salute arancia AIRC

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A gennaio AIRC dà il buon anno alla ricerca sul cancro con l’iniziativa “Le Arance della Salute”.

Basta un contributo associativo minimo di 9,00 euro per ricevere in omaggio una reticella da 2,5 kg di arance rosse di qualità e provenienza garantite, contrassegnate dal marchio dell’Associazione.

Questo contributo consente di fare il pieno di vitamine, far del bene alla ricerca e diventare Soci AIRC per un anno.

Un’idea così salutare, visto che le arance sono fra i protagonisti di una corretta alimentazione, viene diffusa da una campagna pubblicitaria e concretizzata dai Comitati Regionali AIRC che, grazie all’impegno dei volontari, animano le piazze di tutta Italia in una giornata di festa e di incontro.

Prossimo appuntamento: gennaio 2014

Visita il sito speciale della manifestazione www.arancedellasalute.it

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