AMIANTO: A PREOCESSO BREDA/ANSALDO

Morti per amianto alla BredaTermomeccanica /Ansaldo

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Oggi 21 settembre si è tenuta al Palazzo di Giustizia di Milano un’altra udienza del processo contro 10 dirigenti della Breda Termomeccanica/Ansaldo di Milano, imputati della morte per amianto di 12 lavoratori, con un nuovo giudice il dr. Simone Luerti della 9° Sezione Penale del Tribunale di Milano.

 

Dopo l’appello degli imputati e delle parti civili, fra cui il nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, come sempre presente a tutte le udienze, ha preso la parola il P.M. dr. Nicola Balice che ha informato il giudice che il 29 settembre si terra davanti al GUP un’udienza che deve decidere sul rinvio a giudizio o meno degli stessi imputati per la morte di un altro lavoratore della fabbrica deceduto a causa di un mesotelioma pleurico.

Il P.M. ha chiesto al giudice di valutare se era il caso di inserire questo lavoratore deceduto lo in questo processo o farne un altro. Il giudice dopo aver sospeso il processo per circa mezz’ora per dare tempo agli avvocati degli imputati e delle parti civili di decidere, ha preso atto della richiesta degli avvocati difensori degli imputati (alcuni dei quali erano in sostituzione dei loro colleghi) di avere più tempo per decidere rinviando la prossima udienza al 16 dicembre 2015, alle ore 9,30 nell’aula 9 bis a pianterreno del Palazzo di Giustizia.

Nella prossima udienza si deciderà sulla riunificazione o meno in un solo processo e finalmente inizierà l’istruttoria in cui saranno chiamati a testimoniare tre testi del P.M. e sarà fissato il calendario completo del processo, ipotizzando già fin d’ora che le udienze in linea di massima si terranno il lunedì e qualche venerdì.

 

Questo processo – partito grazie alle denunce degli operai della fabbrica del nostro Comitato, iniziato da un anno è stato finora ogni volta rinviato per problemi burocratici, mancate notifiche, e speriamo che stavolta il processo cominci davvero,….  intanto gli operai continuano a morire in silenzio e i responsabili impuniti.

 

 

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

Milano 21 settembre 2015

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Amianto dalla Cina, nei thermos per le bevande

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Torino, 3 giugno 2015 – È di questi giorni la notizia che thermos con intercapedini in amianto per imbottigliare bevande, provenienti dalla Cina, sono stati scoperti a Torino nel corso di una serie di controlli disposti dalla magistratura, tanto che il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo per violazione della legge del 1992 che vieta l’utilizzo di manufatti con asbesto. Il dato di un forte aumento dei tumori è all’ordine del giorno. Delle cause tanto si è detto: purtroppo l’amianto costituisce un fattore di rischio per vari tumori, non vi sono dubbi. La dottoressa Patrizia Gentilini di Isde, interpellata sul tema tumori e ambiente, è netta: la probabilità di ricevere una diagnosi di cancro nel corso della vita è, nel nostro paese, di 1: 2 per i maschi e di 1:3 per le femmine, almeno secondo l’ultimo rapporto dell’ AIRTUM pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione.

Un esperto della cancerogenicità dell’amianto a livello del tratto gastrointestinale, e in particolare delle vie biliari, è il Professor Giovanni Brandi dell’Università di Bologna. L’amianto, afferma il noto docente, è il principale responsabile dello sviluppo di mesoteliomi che non esisterebbero senza l’esposizione a tale agente. In realtà, l’amianto è coinvolto anche nell’insorgenza di molte altre neoplasie. Il ruolo delle fibre è stato accertato per alcuni tumori, per altri è dubbio, per altri ancora non è stato ben indagato. Altri organi sicuramente colpiti sono laringe, ovaio, esofago, molto probabilmente anche lo stomaco, il colon retto, la faringe, ed il fegato, in particolare tumori delle vie biliari. Perché posso essere indotti anche altri tumori? Perché le fibre inalate possono sicuramente oltrepassare gli alveoli polmonari. Traslocando negli spazi pleurici, favoriscono lo sviluppo del mesotelioma e dell’asbestosi; oppure passando nella circolazione generale, le fibre possono raggiungere ogni distretto del corpo.

I dati riguardanti il rischio dell’amianto ingerito con l’acqua sono più controversi, tuttavia è accertato che le fibre di amianto possono sicuramente oltrepassare la mucosa intestinale. Il concetto di base è che, soprattutto per le neoplasie diverse dal mesotelioma, anche altri fattori di rischio sono coinvolti. Non è possibile al momento quantificare il peso relativo di queste variabili. I colangiocarcinomi sono i tumori del fegato e delle vie biliari. Il numero di tali neoplasie è in costante aumento. L’incidenza è variabile nel mondo ed è legata a fattori di rischio diversi, anche se nei due terzi di tutti i pazienti non si riconosce in nessun fattore di rischio accertato.

Da un primo lavoro pubblicato nel 2013 si è notato che nei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico il rischio relativo di sviluppo di questo tumore è di 4,8 volte superiore. Un secondo studio caso controllo prospettico in corso suggerisce che il rischio relativo potrebbe essere anche più elevata. Inoltre stiamo conducendo uno studio di valutazione del genoma di pazienti con tumori delle vie biliari esposti a diversi fattori di rischio, tra cui l’amianto. Studiando le differenze del genoma di un tumore dovuto a fattori di rischio diversi si potranno identificare profili genetici diversi che potranno darci ulteriori informazioni, anche a livello forense, sull’esposizione all’amianto. In generale, il rischio di cancro legato all’amianto è di tipo probabilistico e non può essere piegato a volontà deterministiche ( rischio nullo o rischio certo).

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Amianto, la fibra killer che uccide otto italiani al giorno

Si conficca nell’addome, nel cuore e nei polmoni. E provoca infiammazioni che quasi sempre diventano tumori. Da Casale a Bari, passando per Siracusa e Broni, un paese avvelenato. E ancora tutto da bonificare

(L'interno dell'ex-stabilimento della Fibronit sorge a 500 metri dal centro di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Amianto all’interno dell’ex-stabilimento della Fibronit che sorge a 500 metri dal centro di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

Scopri le mappe, i dati e gli altri articoli de Il Prezzo dell’Amianto.

Quel lavoro in banca Angelo Manzoni lo aveva desiderato per tanto tempo. Non lontano da casa, in uno dei luoghi più belli d’Italia, affacciato sul lungolago di Lecco. Eppure è proprio lì che Angelo, tenore dilettante, ha respirato la polvere che lo ha fatto ammalare di mesotelioma, il tumore maligno che colpisce chi inala le micidiali fibre d’amianto. Senza saperlo è stato esposto per anni, nel suo quotidiano giro di ronda da custode tra la soffitta e i sotterranei della centralissima Banca Popolare di Lecco. A provarlo un’ispezione dell’Asl, intervenuta solo dieci anni dopo la chiusura della banca per la denuncia dei familiari: ha rivelato come l’amianto in matrice friabile fosse onnipresente in quei locali. Angelo non potrà leggerla perché è scomparso il 20 gennaio, ma questa storia è dedicata a lui e alle decine di migliaia di italiani che, a loro insaputa, sono esposti alla fibra killer e pagano carissimo questa forzata ignoranza.

Nonostante sia illegale dal 1992, l’amianto è il motore silenzioso di una tragedia che va ben oltre il caso dell’Eternit di Casale Monferrato. Secondo l’Associazione italiana di oncologia medica(Aiom) ogni anno almeno 3000 italiani muoiono di mesotelioma pleurico e malattie asbesto-correlate, e più di mezzo milione di lavoratori dichiara di essere stato a contatto con la fibra. Una cifra enorme, che equivale ai morti sulla strada di un intero anno o alle vittime del crollo delle Torri gemelle nel 2001. Secondo il Fondo nazionale amianto il costo sociale è di almeno mezzo miliardo di euro l’anno. Ma questa strage è solo la punta dell’iceberg. Il numero di vittime, infatti, mostra un trend in crescita che, se non si procede con le bonifiche, dal 2020 rischia di diventare stabile per anni secondo Carmine Pinto, presidente dell’Associazione nazionale di oncologia medica.

Perché l’amianto è ancora diffusissimo in tutto il territorio e il danno ambientale permane. Fino alla fine degli anni ’80 l’Italia è stata il secondo maggiore produttore europeo di amianto, il primo per l’amianto crisotilo, una delle forme più pericolose, nonché uno dei maggiori utilizzatori. Dal dopoguerra fino alla messa al bando nel 1992, l’Italia ha prodotto 3,7 milioni di tonnellate di amianto grezzo e ne ha importate almeno altre 1,8. Una montagna di fibra in gran parte ancora da bonificare, un’ipoteca pesantissima sul futuro di centinaia di migliaia di persone, perché basta una concentrazione superiore a 1 fibra per litro di atmosfera per creare un rischio per la salute.
Oggi il Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con Inail e Regioni, ha censito 38mila siti contaminati, di cui 35.521 ancora da bonificare. Tra questi 779 sono stabilimenti attivi o dismessi a cui vanno aggiunti 12 siti di interesse nazionale; oltre a Broni in Lombardia, Casale Monferrato e Balangero in Piemonte, ci sono l’area litorale vesuviana, l’area industriale della Val Basento, Biancavilla di Sicilia, Massa Carrara, Pitelli, Tito in Basilicata, l’Eternit di Priolo in Sicilia e quella di Bagnoli a Napoli, la Fibronit di Bari.
Ma è una fotografia molto parziale: mancano del tutto i dati della Calabria e quasi del tutto quelli siciliani, perché le due regioni si sono date un piano regionale amianto che ha permesso di avviare il censimento solo l’anno scorso. La mappatura aerea della Regione Piemonte, invece, ha censito almeno 107.402 coperture di amianto e quella della Lombardia 85.908 siti. Una prima stima fatta da Wired sfiora i 300mila siti, ma alcuni indicano in almeno mezzo milione di edifici e aree contaminate la reale scala del problema che, rimanendo invisibile, è ancora più pericoloso. I dati di queste migliaia di siti, mai pubblicati in una mappa in open-data, sono stati il faro che ha permesso a Wired di costruirel’inchiesta che stai leggendo e produrre le mappe che trovate online e nelle pagine seguenti. Visto il loro altissimo valore civico e la resistenza delle autorità a rilasciarli, abbiamo deciso di renderli scaricabili in open-data su wired.it comprese le loro coordinate geografiche e di lanciare la petizione che trovate alla fine di questo servizio. Il triste primato di casi di mesotelioma per milione di abitante spetta, nell’ordine, a Lombardia, Piemonte e Liguria, anche se picchi di mortalità sono presenti al Nord come al Sud: dalla provincia di La Spezia a quella di Gorizia, da Bari a Taranto, da Siracusa ad Ancona. Un esempio di cosa succede lontano dai riflettori della cronaca giudiziaria è Broni, un piccolo centro di 9500 anime dell’Oltrepò pavese dove la mortalità è la più alta d’Italia, superando quella di Casale Monferrato. Qui ogni settimana si celebra un funerale e si registra un nuovo malato, secondo i dati della Asl locale. La colpa è dell’ex stabilimento dellaFibronit, la fabbrica di cemento-amianto che dal 1932 al 1994 era il motore economico della comunità.
Vent’anni dopo la sua enorme carcassa è ancora lì, a qualche centinaio di metri dal centro storico, in attesa della fine della bonifica. E i brutti ricordi sono ancora vivi.

(Andrea Astanti, del comitato Ambiente e Salute di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Andrea Astanti, del comitato Ambiente e Salute di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

«Una mattina ci siamo svegliati e il vigneto a ridosso della ferrovia era tutto bianco», racconta Emilio Bosini, che ancora coltiva quei filari. Non erano fiocchi di neve, ma di amianto candido, fuoriusciti dalle tubature della Fibronit. Era il 6 marzo 1990 e quella strana nevicata i bronesi se la ricordano bene. «Avvisammo i carabinieri, intervennero i tecnici per lavare via il materiale. Mio padre si mise a spalare per ripulire il nostro campo». Da lì a poco papà Bosini si ammala di mesotelioma, ma l’allarme sociale non scatta immediatamente. Sì, perché l’incubazione è lunghissima e dal momento dell’esposizione all’insorgenza del tumore possono passare fino a 40 anni. Larghe appena un decimo di millesimo di millimetro, le fibre si conficcano nell’epitelio di pleura, peritoneo e pericardio, le membrane che rivestono polmoni, cavità addominale e cuore, generando un’infiammazione che degenera quasi sempre in tumore.

Ma non si ammala solo chi ha lavorato a contatto diretto con l’amianto. «Come mio padre, che non era mai entrato in fabbrica», sottolinea Bosini, «in questi anni sono scomparsi diversi miei vicini di casa poco più che quarantenni e moltissime donne che la fabbrica l’hanno vista solo da fuori».
Il dramma di Broni è certificato da uno studio internazionale appena pubblicato dal team di Dario Consonni, epidemiologo presso la Fondazione Ircss Ca’ Granda di Milano: il 50% di chi si ammala a Broni non è più un ex lavoratore della Fibronit, ma un comune cittadino. Segno che la contaminazione ambientale, qui come a Casale Monferrato, è uscita ormai da tempo dalle pareti della fabbrica fantasma. «Mentre a Casale Monferrato la produzione di Eternit terminò nel 1986, a Broni l’impresa è rimasta aperta per altri otto anni grazie a una deroga prevista dalla stessa legge 257/1992 che ha imposto la cessazione dell’utilizzo dell’amianto in Italia», precisa Andrea Astanti dello storico Comitato ambiente e salute. Oggi i 140mila metri quadrati della Fibronit, a meno di un chilometro da scuole e ospedali e a poche centinaia di metri dalle case, sono sigillati, ma le bonifiche segnano il passo.

«Lo Stato ha riconosciuto nel 2002 Broni come uno dei dodici siti di interesse nazionale (Sin) per la gravità di contaminazione ambientale e sanitaria», spiega Mario Fugazza, assessore all’Ambiente di Broni. «La bonifica dell’area va realizzata attraverso l’accordo di programma con ministero dell’Ambiente, Regione Lombardia e Provincia». Nel 2007 era stato previsto il completamento delle bonifiche entro il 2013. E invece? «Sono stati stanziati 25 milioni ma tra Stato e Regione abbiamo ricevuto appena il 20% ed è stata realizzata solo la messa in sicurezza di emergenza».

(Mario Fugazza, assessore all'Ambiente del comune di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Mario Fugazza, assessore all’Ambiente del comune di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

Il 2015 sembra l’anno della svolta: «Dovrebbero arrivare oltre 11 milioni per il secondo lotto dei lavori, insieme a 1,5 milioni di Regione Lombardia e abbiamo ricevuto conferma dal ministero dell’Ambiente per gli altri 19,2 milioni di euro indispensabili per il terzo e ultimo lotto di bonifica dell’amianto». Oltre al lavoro sulla Fibronit vanno eliminati 200mila metri quadrati di coperture in eternit dei tetti privati e bonificate le scuole.
Intanto la fibra continua a mietere vittime che, oltre alla malattia, devono affrontare il complesso iter di certificazione del danno da parte dell’Inail. Oggi sono 563.706 le persone che hanno presentato una richiesta di indennizzo all’Inail. «Sono persone che hanno una minore aspettativa di vita, affette da patologie asbesto-correlate che possono degenerare e che hanno giustamente diritto a un risarcimento», sottolinea Nicola Pondrano, presidente del Fondo nazionale amianto. Inail fino a ora ha accolto appena un terzo delle domande presentate. «Nel 2012 e 2013 sono state accolte 1711 (617 hanno avuto esito mortale) e 1860 (519) domande», spiega Massimo De Felice, matematico e presidente dell’Inail.

Il percorso per far riconoscere il danno è spesso lungo e difficoltoso perché «le domande di indennizzo sono accettate solo se il lavoratore è in grado di provare l’origine professionale della malattia sorretta da presunzione legale», sottolinea Elisa Rebecchi dell’Inca-Cgil a Milano. «In parole povere deve provare di essere stato esposto a lavorazioni a contatto con l’amianto e il tipo di malattia deve rientrare in quelle tabellate, cioè riconosciute, dall’ Inail». Da qui l’onere della prova a carico della parte offesa e il decesso, come nel caso di Angelo Manzoni, spesso arriva prima della certificazione.
L’Inail potrebbe quindi sembrare in conflitto di interesse in questa duplice veste di controllore e di compensatore del danno. «L’Inail è uno strumento dello Stato», sottolinea De Felice. «I suoi comportamenti sono definiti dalla legge e la discrezionalità è ridotta; completamente assente è la finalità del “fare profitto”; l’obiettivo unico è il perseguimento del bene pubblico». «Generalmente le domande non sono mai accettate in prima istanza dall’Inail», osserva Michele Michelino del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio a Sesto San Giovanni a Milano, «costringendo quasi sempre il lavoratore al ricorso in sede amministrativa o giudiziaria». Sollecitato da Wired, l’Inail ha rifiutato di divulgare il numero ufficiale dei ricorsi, ma per chi è affetto da placche pleuriche, asbestosi, tumori del polmone, altre neoplasie come il tumore della laringe potremmo dire: oltre il danno, la beffa. L’Inail ha annunciato che nelle prossime settimane consegnerà alla stampa il quinto rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi, che raccoglie anche le segnalazioni di quelli non causati da esposizione professionale. De Felice, in controtendenza con le previsioni degli oncologi dell’Aiom, è ottimista sull’incidenza dei tumori da amianto: «I dati raccolti dai centri operativi regionali mostrano un tasso di incidenza di mesotelioma nel nostro paese di 3,5 casi per 100mila residenti negli uomini e 1,3 casi nelle donne. Siamo nella fase di maggiore occorrenza della malattia ed è presumibile una riduzione dei tassi nei prossimi anni».

Al di là dei modelli di previsione epidemiologici, resta l’evidenza che ai cittadini è ancora negato l’accesso a dati certi sull’esposizione residenziale all’amianto. La filiera della raccolta dati effettuata da Province e Regioni e supervisionata dal ministero dell’Ambiente sì sta dimostrando poco trasparente, anche se il decreto sulla trasparenza del governo Monti (33/2013) e la legge 195/2005 sull’accesso all’informazione ambientale imporrebbero la divulgazione. «La bonifica dell’amianto rappresenta un’attività prioritaria per il mio ministero e c’è una sezione dedicata a queste informazioni sul nostro sito, ma abbiamo riscontrato delle criticità rispetto alla pubblicazione integrale dei dati raccolti dalle Regioni», ammette il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, «per vincoli di privacy (cioè: nomi, cognomi e indirizzi dei proprietari dei siti oggetto di bonifica). È un’attività che richiederà tempo ma che ci impegniamo a portare avanti: il controllo civico è uno strumento di accelerazione degli interventi».

(L'ex-Fibronit di Bari - Foto: Emanuele Cremaschi)

(L’ex-Fibronit di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

Anche a livello locale i problemi di trasparenza si fanno sentire.«Abbiamo richiesto più volte i dati su Bari, senza ottenere risposta dalla Regione», dichiara Gianluca Cesari, presidente dell’Associazione esposti amianto di Bari. Vent’anni fa, Cesari fu uno dei primi cittadini che denunciò lo stato di abbandono e di pericolo dei 100mila metri quadrati dello stabilimento della Fibronit, che nonostante sia in via Caldarola, una delle aree più trafficate di Bari a contatto con i popolosi quartieri di Japigia, Madonnella e San Pasquale, mostra ancora quintali di fibre interrati nel perimetro dell’azienda.

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(Gianluca Cesari, presidente dell’associazione esposti amianto di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

«A differenza di Broni, qui la fabbrica cessò la produzione nel 1985, anche sotto le pressioni degli operai che avevano già scoperto negli anni ’70 gli effetti dell’asbestosi e della silicosi, che portò alla morte di 350 lavoratori». Oggi la vernice blu inertizzante stesa durante le operazioni di messa in sicurezza di emergenza nel 2007 sta lentamente sbiadendo.

Il ministero dell’Ambiente ha confermato lo stanziamento di 568mila euro per completare la bonifica, ma la demolizione, che doveva partire l’anno scorso per lasciare spazio al Parco della Rinascita, non sembra imminente nonostante intorno all’area svettino diversi grattacieli. «Anche qui come a Casale, bisognerà sigillare i terrapieni che si innalzano di qualche metro dal piano campagna, dove sono contenuti gli scarti di lavorazione dei manufatti in cemento-amianto che arrivano fino a cinque metri sotto terra». A Bari la battaglia contro l’amianto si combatte anche in tribunale. La procura ha disposto un’indagine epidemiologica che abbraccerà gli ultimi 50 anni degli stabilimenti di Modugno della Bridgestone, per accertare le cause dei decessi e delle malattie contratte dai lavoratori. Quello di Modugno è uno degli oltre quaranta processi sparsi tra decine di procure. A livello nazionale ci sono però alcuni segnali di cambiamento. Il processo Eternit, concluso con la prescrizione del reato di disastro ambientale, ha avuto l’effetto di accendere i riflettori sul ritardo nelle bonifiche di sette dei 12 siti di interesse nazionale.

«Il lavoro per eliminare l’amianto dall’Italia sarà lungo e inevitabilmente minuzioso», avverte il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. «Oltre ai fondi per Casale, abbiamo sbloccato i fondi per Bagnoli che riceverà circa cinque milioni e 250mila euro per il 2016 e altrettanti per il 2017. Tra gli altri 60 milioni di euro in tre anni, 19,2 milioni vanno alla Lombardia per Broni, 14 milioni e 600mila euro al Piemonte per Balangero, 13,6 milioni per Emarese (Val d’Aosta), 12 milioni per il sito di Biancavilla in Sicilia, e i 568mila euro per l’area Fibronit di Bari. Per il futuro stiamo pensando ad altri tipi di misure, anche usando la leva fiscale, che facilitino i microinterventi, le migliaia di smaltimenti di pannelli, tettoie, coperture da rimuovere che sono sparse nelle nostre città e nei capannoni delle aziende».

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(L’interno dell’ex-Fibronit di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

Il governo italiano, inoltre, ha inserito nella legge di stabilità il comma 116 che prevede l’estensione del Fondo nazionale amianto ai familiari degli esposti o per “esposizione ambientale comprovata”. «È un passo avanti. Ma siamo ancora lontani dal sistema francese che riconosce anche l’esposizione ambientale dei cittadini e dove il risarcimento è in carico dell’istituto nazionale di previdenza», osserva Nicola Pondrano, presidente del Fondo nazionale amianto.

Resta il fatto che a 23 anni dalla legge 257/1992 che ha bandito l’amianto, le bonifiche sono al palo, la mortalità aumenta e manca un piano per il controllo dei costi sociali e ambientali. Mancano inoltre dati epidemiologici aggiornati, che sappiamo in preparazione da parte dell’Istituto superiore di Sanità. Ma manca soprattutto un vero Piano nazionale amianto, annunciato l’8 aprile 2013 dall’ex ministro della Salute Balduzzi proprio a Casale Monferrato, ma arenatosi per mancanza di fondi in un cortocircuito di responsabilità tra le istituzioni.
Il fronte più grave è però quello locale: i ritardi nel varo dei piani regionali amianto impediscono di identificare gli edifici che devono essere bonificati con estrema urgenza. Proprio il caso di Broni ci ricorda come, tra le massime priorità, ci dovrebbero essere le 2000 scuole con coperture e pareti in eternit sparse in tutto lo stivale dove, secondo il Censis, 342mila ragazzi sono esposti ogni giorno al rischio amianto. Perché, come insegnano all’asilo Verdeblu di Casale, «senza memoria, non c’è futuro».
Chiedi trasparenza sull’amianto in Italia. Firma la petizione#AddioAmianto su Change.org

MORTI PER AMIANTO: IN EUROPA OLTRE LA METÀ DEI CASI DI TUTTO IL MONDO

Ad affermarlo è un recente studio dell’Oms: il 56% dei decessi per mesotelioma e il 41% di quelli per asbestosi – pari, nel complesso, a 7.500 vittime – sono legati al Vecchio Continente: un andamento dovuto al ruolo storico di quest’area geografica quale centro globale di utilizzo della fibra killer

ROMA – Oltre la metà delle morti di tutto il mondo che, ogni anno, si devono all’amianto avviene in Europa. Per l’esattezza il 56% dei decessi per mesotelioma (pari a 7mila casi) e il 41% di quelli per asbestosi (pari a 500 casi) sono legati geograficamente al Vecchio Continente. Ad affermarlo è uno studio pubblicato nel bollettino settimanale dell’Oms.

Il bilancio più allarmante in Islanda, Malta e Regno Unito. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono 107mila le persone che, ogni anno, perdono la vita per cause relative all’amianto. La metà di loro è europea: un dato che sconcerta se si pensa che in quest’area risiede solo il 13% della popolazione di tutto il pianeta. Per quanto riguarda il mesotelioma (una forma tumorale associata all’esposizione alla fibra killer) i tassi più alti di morte si registrano in Islanda – con 25 decessi ogni 10 milioni di abitanti -, seguita dal Regno Unito e Malta (l’Italia è nella media con 10 morti). I tre stati ritornano anche per quanto riguarda l’asbestosi, la malattia polmonare dovuta all’inalazione dell’amianto: in questo caso l’Islanda segue Malta e precede il Regno Unito.

Il Vecchio Continente l’epicentro di tutte le malattie asbesto-correlate. L’analisi dell’Oms è impietosa. “Nei periodi 1920-1970 e 1971-2000 l’Europa ha usato il 48% e il 58% di tutto l’amianto commerciato nel mondo – sottolinea lo studio – Per questo può essere caratterizzata come il centro globale dell’uso nella storia e come l’epicentro attuale di tutte le malattie relative all’amianto”. Una realtà che allarma se si pensa che, sempre secondo i dati (sottostimati) dell’Organizzazione, nel mondo sono circa 125 milioni i lavoratori esposti all’asbesto. Una cifra non tiene conto, però, di chi ha lavorato in precedenza e delle persone che vivono nei pressi degli impianti di produzione.

In tutto il pianeta oltre due milioni di tonnellate lavorate ogni anno. Ancora oggi nel pianeta si lavorano oltre due milioni di tonnellate di questa fibra. Sul “podio” dei paesi produttori ci sono Russia (1 milione di tonnellate prodotte nel 2010), Cina (400mila) e Brasile (270mila), mentre chi ne fa maggior consumo sono Cina (oltre 613mila tonnellate), India (426mila) e Russia (263mila). Uno scenario che lascia poche speranze per quanto riguarda la salute delle persone: le stime dell’Oms ipotizzano che il picco di decessi per mesotelioma, tumori polmonari e tumori della laringe sarà tra il 2015 e il 2020. In base a questi dati, in tutto il mondo ci saranno cinque morti per tumore polmonare e due per asbestosi ogni 1000 abitanti: una tragedia che potrebbe interessare 10 milioni di persone nei prossimi 20 anni. (Inail.it)

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L’esplosione dei tumori in un Paese da bonificare

Il rapporto del Ministero della Salute e Istituto superiore di Sanità incrocia i dati di mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri. Svelando l’ovvio: vicino alle bombe ambientali ammalarsi è più facile

di Michele Sasso L'esplosione dei tumori in un Paese da bonificare

I siti contaminati italiani provocano tumori mortali. E vanno bonificati il prima possibile. È la conclusione del progetto “Sentieri”, lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento, un progetto finanziato dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità.

Dai fumi di Taranto ai veleni della ex fabbrica chimica Caffaro di Brescia il rapporto aggiunge due parametri che raccontano il rischio per chi vive vicino a discariche, aree contaminate, ex zone industriali diventate bombe ambientali: i ricoveri ospedalieri e l’incidenza dei tumori.

Sotto osservazione il rischio dei cosiddetti “Sin”, i siti di interesse nazionale per la gravità dell’inquinamento.
Sono 18 le aree che necessitano bonifiche urgenti e nel rapporto vengono passate sotto la lente dei dati di mortalità, l’analisi dell’incidenza oncologica e i casi di ricovero in ospedale. Ovunque risultati preoccupanti.

PIU’ MALATTIE PER TUTTI
«Abbiamo fatto un passo un più con l’incrocio dei dati sanitari. Ogni sito ha una sua vita propria e anche malattie diverse» spiega Roberta Pirastu dell’Università di Roma, coordinatrice del progetto sentieri: «L’analisi, in aggiunta alla mortalità, dei dati riguardanti l’incidenza oncologica e i ricoveri ospedalieri è cruciale. Quando si ha a che fare con patologie ad alta sopravvivenza, infatti, lo studio della sola mortalità porterebbe a sottovalutarne l’impatto effettivo».

Si scopre quindi che per il tumore della tiroide in alcuni siti sono state rilevate vere esplosioni: a Brescia-Caffaro più 70 per cento per gli uomini e più 56 per le donne; nei Laghi di Mantova, dove il polo chimico-industriale si estende su 260 ettari di ciminiere e torce: più 74 per cento. E ancora alla raffineria della cittadina siciliana di Milazzo: un balzo del 40 per cento per le donne.

Sempre grazie alle analisi dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per quelle sedi tumorali che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro associa al melanoma o al tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin con i pericolosi policlorobifenili, le sostanze prodotte qui e sversate nei terreni che hanno contaminato tutta la catena alimentare. L’incidenza di melanoma rivela un eccesso del 27 per cento tra gli uomini e del 19 per cento tra le donne, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso rispettivamente del 52 per cento e del 39 per cento.

INCUBO AMIANTO
Capitolo a parte per l’esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti e che risulta evidente, per gli uomini, dai dati relativi al mesotelioma, il terribile cancro che colpisce i polmoni di chi ha respirato le microparticelle. Schizzano verso l’alto nei Sin siciliani di Biancavilla (Catania) e Priolo (a pochi chilometri da Siracusa), dove è documentata la presenza di asbesto e fibre asbestiformi.

Stessa sorte nelle aree portuali di Trieste, Taranto, Venezia e con attività industriali a prevalente vocazione chimica (Laguna di Grado e Marano, Priolo, Venezia) e siderurgica (Taranto, Terni, Trieste): un dato, questo, che conferma la diffusione dell’amianto nei siti contaminati anche al di là di quelli riconosciuti in base alla presenza di cave e fabbriche di eternit.

Dall’analisi del profilo di rischio oncologico risulta anche una maggiore incidenza di tumore del fegato in entrambi i generi riconducibile, in termini generali, a un diffuso rischio chimico nei pressi di ex industrie chimiche, raffinerie, acciaierie e discariche.

Ma non si tratta solo di tumori. Nel territorio del Basso bacino del fiume Chienti, nelle Marche, sono emersi eccessi per le patologie del sistema urinario, in particolare le insufficienze renali, che inducono a ipotizzare un ruolo causale dei solventi alogenati dell’industria calzaturiera.

A Porto Torres (Sassari) si registrano eccessi in ambedue i sessi e per tutti gli esiti considerati (mortalità, incidenza oncologica, ricoveri ospedalieri) per patologie come le malattie respiratorie e il tumore del polmone, per i quali si suggerisce un ruolo delle emissioni di raffinerie e poli petrolchimici. Stesse patologie rilevate a Taranto dove anni di emissioni degli stabilimenti metallurgici hanno inciso sui polmoni di chi vive a pochi centinaia di metri dalle ciminiere.

Questo è il quadro che emerge: un Paese da bonificare per abbassare il numero di uomini e donne che ogni anno si ammalano di tumore.

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Malato d’amianto, carattere di ferro

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Malato d’amianto, carattere di ferro: “Sono un sopravvissuto alla fabbrica”
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Silvestro Capelli ha 70 anni ed è uno dei pochi lavoratori a cui è stata riconosciuta l’esposizione all’amianto. Sabato pomeriggio c’era anche lui alla sede di via Magenta del “Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio”
di Laura Lana
Silvestro Capelli, operato nel ’96 per un tumore alla laringe: ha recuperato la voce grazie a una grande forza di volontà (Spf)

Sesto San Giovanni, 28 aprile 2014 – Un lavoro che debilita, che può anche uccidere e di cui ci si ammala. E giornate come queste, in cui si ricordano i compagni scomparsi, che diventano le più lunghe. Silvestro Capelli ha 70 anni, «71 tra 20 giorni, per la precisione», ed è uno dei pochi lavoratori a cui è stata riconosciuta l’esposizione all’amianto. Sabato pomeriggio c’era anche lui alla sede di via Magenta del «Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio», dopo il tradizionale corteo fino alla lapide di via Carducci dedicata ai caduti in fabbrica.

«Mi si chiude la gola. È troppo difficile ricordare. Quanti amici persi. Io sono uno dei sopravvissuti», racconta seduto vicino al suo cane, Barry White, in omaggio alla sua passaione per il jazz. Nostalgia e mito negli anni si sono sedimentati nel raccontare l’ex Stalingrado d’Italia. Eppure per loro, per gli ex bredini, la fabbrica è stata altro. «Un luogo di fatica e dolore, un ambiente malsano, un posto anche di morte e di malattia. La fabbrica per noi rappresenta tutto questo». Per Silvestro la fabbrica è anche quel buco che ha in gola e quello sforzo non immaginabile che deve fare per pronunciare ogni parola, anche se la sua voce corre spedita. In Breda c’è stato 17 anni. Ha lavorato «in un ambiente pieno di amianto» e nel 1992 si è ammalato. Quattro anni dopo è stato operato di tumore alla laringe e dopo due mesi di riabilitazione è tornato a parlare. «C’è voluta una grandissima forza di volontà per ottenere questi risultati. Non è stato per niente facile. Da 16 anni, gratuitamente, aiuta i pazienti che hanno subìto interventi simili. Dei miei allievi non c’è nessuno che non sia tornato a parlare. Ne sono molto orgoglioso».

Silvestro è arrivato a Sesto dal Mantovano nel 1952, dopo che suo padre aveva già iniziato a lavorare in città. «Era il 24 maggio, un sabato. Ho visto questa miriade di tute blu, che sembravano tante formichine che lavoravano. Sesto mi è apparsa come una città medievale, solo che le mura erano quelle degli stabilimenti e non di un forte. Eravamo divisi da Monza dalla Falck, da Milano dalla Pirelli e in mezzo c’erano tutte le altre fabbriche: la Osva, la Campari, la Garelli, la Breda». Vita di fabbrica, dove ci ammalava. «Franco Camporeale è stata la prima vittima, ormai vent’anni fa. Era il mio compagno di turno, saldavamo le aste. Aveva 45 anni quando è morto. Sotto questi capannoni immensi, i reparti erano divisi da strisce gialle pitturate a terra. Tutti abbiamo mangiato l’amianto, ma solo ad alcuni è stata confermata l’esposizione». Silvestro è tra questi. «Però per lo Stato sono un invalido civile, così costo meno. Continuerò a lottare perché mi venga riconosciuta l’invalidità da lavoro».

laura.lana@ilgiorno.net

Arriva da Siena la speranza contro il “tumore da amianto”

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L’amianto è un nemico che l’Italia ha imparato a conoscere troppo tardi, quando ormai fabbriche e case ne erano piene. Non sono pochi, purtroppo, i casi di inquinamento da amianto sparsi per tutto il territorio nazionale, alcuni saliti agli onori della cronaca altri ancora sconosciuti. Le polveri di amianto, se respirate a lungo e senza protezione, attaccano i polmoni e causano uno dei tumori più aggressivi al mondo: il Mesotelioma Pleurico.
La bonifica dei luoghi inquinati, anche se necessaria e dovuta, non porta alcun beneficio in chi è già ammalato, ma la ricerca potrebbe e a Siena si sta forse per arrivare a una possibile speranza di cura per questo tipo di tumore in particolare. E’ quanto emerge da due studi che hanno coinvolto non solo i ricercatori senesi ma anche quelli dell’Istituto Tumori di Napoli-CRom e della Temple University di Philadelphia, coordinati dal genetista italiano Antonio Giordano. Gli studi, dopo averci ricordato che cosa è il Mesotelioma Pleurico (“tumore che ha origine dalla trasformazione neoplastica del mesotelio, il sottile tessuto che avvolge la cavita’ pleurica e altri organi interni“) ci ricorda che esso non si manifesta nell’immediato ma anche dopo dieci o venti anni dall’esposizione all’amianto.
Infine, i ricercatori descrivono il lavoro fatto, ovvero dei test sull’effetto di nuovi agenti antitumorali su cellule di Mesotelioma, in particolare tramite un farmaco che riattiva la proteina onco-soppressore P53, senza la quale i tumori si diffondono rapidamente nell’organismo. Il farmaco si chiama MK-1775 e, in combinazione con il Cisplatino, permetterebbe di trattare il Mesotelioma riducendone l’aggressività e forse permettendone anche una guarigione, o comunque una tolleranza prolungata da parte del corpo. Sarebbe già un grande risultato se si potesse anche solo tramutare una malattia del genere in disturbo cronico, ovvero duraturo ma trattabile. Le prospettive ci sono e gli studi sono in corso per raggiungere al più presto l’obiettivo.
http://benessere.guidone.it/2014/01/11/arriva-da-siena-la-speranza-contro-il-tumore-da-amianto/

Il male del secolo – I puntata

Oggi 11 novembre finiscono i giorni della ricerca promossa dall’AIRC,Associazione Italiana per la ricerca sul cancro,iniziativa iniziata il 2 novembre che si svolge da ben sedici anni.
Vediamo in tutte le emittenti televisive tutti col simbolo dell’Airc,un telescopio,che chiedono di inviare aiuti economici tramite telefono usando anche la carta di credito.
Oltre ad essere curioso di sapere quanto dei soldi rimangono nelle mani delle banche pagando con carta di credito,reputo l’iniziativa non buona ma ottima e che serve a portare a conoscenza della cittadinanza Italiana che si muore anche di cancro e che non siamo immortali…
Anche se …
Dovrebbero anche dire che il tumore non è una cosa o persona che ti assale solo se fumi ti droghi o bevi,comportamenti che non giovano alla salute ma nessuno dice in televisione che l’inquinamento e cosa mangiamo influisce molto sulla malattia.
Nessuno dice che si sacrifica la salute per un posto di lavoro o per la messa in opera di una raffineria,di una centrale elettrica o inceneritore dentro o nei pressi di centri abitati.
Il tumore è una bestia,brutta bestia,che può risvegliarsi e colpire ancora chi a già sofferto,il cancro non è la rosolia,il morbillo che presa una volta basta non torna più…
Nessuno dice che lo stato aiuta poco o niente visto il mondo associazionistico si deve alzare le maniche per coprire le mancanze dello Stato,perché il tumore non finisce con la prevenzione,la diagnosi ed eventuale operazione che può seguire cicli di radio terapia o chemioterapia terapia. Un operazione che può essere più o meno invasiva che colpisce anche se non lo ammettono tutti colpisce anche la persona nel suo modo di vivere e di pensare.
Bisogna dire che prevenire non è soltanto non bere,non fumare e non drogarsi seguita da una sana alimentazione,devono dire che ci fanno respirare aria inquinata o pieno d’amianto per fare un esempio.
Amianto che era piena l’Italia e che non è stato smaltito o smaltito male anche se sanno che l’amianto non ti colpisce subito perché un tumore causato dall’amianto ha anche 40 anni di incubazione.
Questa è la prima parte di un dossier che ci porterà in giro per tutta l’Italia e magari dopo anche in Europa e nel mondo dove si lotta contro il cancro provocato forse anche dalle stesse ditte o enti comunali,regionali o statali che donano poco o tanto alle varie associazione stile AIRC.
 

 

 

 

 

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