Amianto, la fibra killer che uccide otto italiani al giorno

Si conficca nell’addome, nel cuore e nei polmoni. E provoca infiammazioni che quasi sempre diventano tumori. Da Casale a Bari, passando per Siracusa e Broni, un paese avvelenato. E ancora tutto da bonificare

(L'interno dell'ex-stabilimento della Fibronit sorge a 500 metri dal centro di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Amianto all’interno dell’ex-stabilimento della Fibronit che sorge a 500 metri dal centro di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

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Quel lavoro in banca Angelo Manzoni lo aveva desiderato per tanto tempo. Non lontano da casa, in uno dei luoghi più belli d’Italia, affacciato sul lungolago di Lecco. Eppure è proprio lì che Angelo, tenore dilettante, ha respirato la polvere che lo ha fatto ammalare di mesotelioma, il tumore maligno che colpisce chi inala le micidiali fibre d’amianto. Senza saperlo è stato esposto per anni, nel suo quotidiano giro di ronda da custode tra la soffitta e i sotterranei della centralissima Banca Popolare di Lecco. A provarlo un’ispezione dell’Asl, intervenuta solo dieci anni dopo la chiusura della banca per la denuncia dei familiari: ha rivelato come l’amianto in matrice friabile fosse onnipresente in quei locali. Angelo non potrà leggerla perché è scomparso il 20 gennaio, ma questa storia è dedicata a lui e alle decine di migliaia di italiani che, a loro insaputa, sono esposti alla fibra killer e pagano carissimo questa forzata ignoranza.

Nonostante sia illegale dal 1992, l’amianto è il motore silenzioso di una tragedia che va ben oltre il caso dell’Eternit di Casale Monferrato. Secondo l’Associazione italiana di oncologia medica(Aiom) ogni anno almeno 3000 italiani muoiono di mesotelioma pleurico e malattie asbesto-correlate, e più di mezzo milione di lavoratori dichiara di essere stato a contatto con la fibra. Una cifra enorme, che equivale ai morti sulla strada di un intero anno o alle vittime del crollo delle Torri gemelle nel 2001. Secondo il Fondo nazionale amianto il costo sociale è di almeno mezzo miliardo di euro l’anno. Ma questa strage è solo la punta dell’iceberg. Il numero di vittime, infatti, mostra un trend in crescita che, se non si procede con le bonifiche, dal 2020 rischia di diventare stabile per anni secondo Carmine Pinto, presidente dell’Associazione nazionale di oncologia medica.

Perché l’amianto è ancora diffusissimo in tutto il territorio e il danno ambientale permane. Fino alla fine degli anni ’80 l’Italia è stata il secondo maggiore produttore europeo di amianto, il primo per l’amianto crisotilo, una delle forme più pericolose, nonché uno dei maggiori utilizzatori. Dal dopoguerra fino alla messa al bando nel 1992, l’Italia ha prodotto 3,7 milioni di tonnellate di amianto grezzo e ne ha importate almeno altre 1,8. Una montagna di fibra in gran parte ancora da bonificare, un’ipoteca pesantissima sul futuro di centinaia di migliaia di persone, perché basta una concentrazione superiore a 1 fibra per litro di atmosfera per creare un rischio per la salute.
Oggi il Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con Inail e Regioni, ha censito 38mila siti contaminati, di cui 35.521 ancora da bonificare. Tra questi 779 sono stabilimenti attivi o dismessi a cui vanno aggiunti 12 siti di interesse nazionale; oltre a Broni in Lombardia, Casale Monferrato e Balangero in Piemonte, ci sono l’area litorale vesuviana, l’area industriale della Val Basento, Biancavilla di Sicilia, Massa Carrara, Pitelli, Tito in Basilicata, l’Eternit di Priolo in Sicilia e quella di Bagnoli a Napoli, la Fibronit di Bari.
Ma è una fotografia molto parziale: mancano del tutto i dati della Calabria e quasi del tutto quelli siciliani, perché le due regioni si sono date un piano regionale amianto che ha permesso di avviare il censimento solo l’anno scorso. La mappatura aerea della Regione Piemonte, invece, ha censito almeno 107.402 coperture di amianto e quella della Lombardia 85.908 siti. Una prima stima fatta da Wired sfiora i 300mila siti, ma alcuni indicano in almeno mezzo milione di edifici e aree contaminate la reale scala del problema che, rimanendo invisibile, è ancora più pericoloso. I dati di queste migliaia di siti, mai pubblicati in una mappa in open-data, sono stati il faro che ha permesso a Wired di costruirel’inchiesta che stai leggendo e produrre le mappe che trovate online e nelle pagine seguenti. Visto il loro altissimo valore civico e la resistenza delle autorità a rilasciarli, abbiamo deciso di renderli scaricabili in open-data su wired.it comprese le loro coordinate geografiche e di lanciare la petizione che trovate alla fine di questo servizio. Il triste primato di casi di mesotelioma per milione di abitante spetta, nell’ordine, a Lombardia, Piemonte e Liguria, anche se picchi di mortalità sono presenti al Nord come al Sud: dalla provincia di La Spezia a quella di Gorizia, da Bari a Taranto, da Siracusa ad Ancona. Un esempio di cosa succede lontano dai riflettori della cronaca giudiziaria è Broni, un piccolo centro di 9500 anime dell’Oltrepò pavese dove la mortalità è la più alta d’Italia, superando quella di Casale Monferrato. Qui ogni settimana si celebra un funerale e si registra un nuovo malato, secondo i dati della Asl locale. La colpa è dell’ex stabilimento dellaFibronit, la fabbrica di cemento-amianto che dal 1932 al 1994 era il motore economico della comunità.
Vent’anni dopo la sua enorme carcassa è ancora lì, a qualche centinaio di metri dal centro storico, in attesa della fine della bonifica. E i brutti ricordi sono ancora vivi.

(Andrea Astanti, del comitato Ambiente e Salute di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Andrea Astanti, del comitato Ambiente e Salute di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

«Una mattina ci siamo svegliati e il vigneto a ridosso della ferrovia era tutto bianco», racconta Emilio Bosini, che ancora coltiva quei filari. Non erano fiocchi di neve, ma di amianto candido, fuoriusciti dalle tubature della Fibronit. Era il 6 marzo 1990 e quella strana nevicata i bronesi se la ricordano bene. «Avvisammo i carabinieri, intervennero i tecnici per lavare via il materiale. Mio padre si mise a spalare per ripulire il nostro campo». Da lì a poco papà Bosini si ammala di mesotelioma, ma l’allarme sociale non scatta immediatamente. Sì, perché l’incubazione è lunghissima e dal momento dell’esposizione all’insorgenza del tumore possono passare fino a 40 anni. Larghe appena un decimo di millesimo di millimetro, le fibre si conficcano nell’epitelio di pleura, peritoneo e pericardio, le membrane che rivestono polmoni, cavità addominale e cuore, generando un’infiammazione che degenera quasi sempre in tumore.

Ma non si ammala solo chi ha lavorato a contatto diretto con l’amianto. «Come mio padre, che non era mai entrato in fabbrica», sottolinea Bosini, «in questi anni sono scomparsi diversi miei vicini di casa poco più che quarantenni e moltissime donne che la fabbrica l’hanno vista solo da fuori».
Il dramma di Broni è certificato da uno studio internazionale appena pubblicato dal team di Dario Consonni, epidemiologo presso la Fondazione Ircss Ca’ Granda di Milano: il 50% di chi si ammala a Broni non è più un ex lavoratore della Fibronit, ma un comune cittadino. Segno che la contaminazione ambientale, qui come a Casale Monferrato, è uscita ormai da tempo dalle pareti della fabbrica fantasma. «Mentre a Casale Monferrato la produzione di Eternit terminò nel 1986, a Broni l’impresa è rimasta aperta per altri otto anni grazie a una deroga prevista dalla stessa legge 257/1992 che ha imposto la cessazione dell’utilizzo dell’amianto in Italia», precisa Andrea Astanti dello storico Comitato ambiente e salute. Oggi i 140mila metri quadrati della Fibronit, a meno di un chilometro da scuole e ospedali e a poche centinaia di metri dalle case, sono sigillati, ma le bonifiche segnano il passo.

«Lo Stato ha riconosciuto nel 2002 Broni come uno dei dodici siti di interesse nazionale (Sin) per la gravità di contaminazione ambientale e sanitaria», spiega Mario Fugazza, assessore all’Ambiente di Broni. «La bonifica dell’area va realizzata attraverso l’accordo di programma con ministero dell’Ambiente, Regione Lombardia e Provincia». Nel 2007 era stato previsto il completamento delle bonifiche entro il 2013. E invece? «Sono stati stanziati 25 milioni ma tra Stato e Regione abbiamo ricevuto appena il 20% ed è stata realizzata solo la messa in sicurezza di emergenza».

(Mario Fugazza, assessore all'Ambiente del comune di Broni - Foto: Emanuele Cremaschi)

(Mario Fugazza, assessore all’Ambiente del comune di Broni – Foto: Emanuele Cremaschi)

Il 2015 sembra l’anno della svolta: «Dovrebbero arrivare oltre 11 milioni per il secondo lotto dei lavori, insieme a 1,5 milioni di Regione Lombardia e abbiamo ricevuto conferma dal ministero dell’Ambiente per gli altri 19,2 milioni di euro indispensabili per il terzo e ultimo lotto di bonifica dell’amianto». Oltre al lavoro sulla Fibronit vanno eliminati 200mila metri quadrati di coperture in eternit dei tetti privati e bonificate le scuole.
Intanto la fibra continua a mietere vittime che, oltre alla malattia, devono affrontare il complesso iter di certificazione del danno da parte dell’Inail. Oggi sono 563.706 le persone che hanno presentato una richiesta di indennizzo all’Inail. «Sono persone che hanno una minore aspettativa di vita, affette da patologie asbesto-correlate che possono degenerare e che hanno giustamente diritto a un risarcimento», sottolinea Nicola Pondrano, presidente del Fondo nazionale amianto. Inail fino a ora ha accolto appena un terzo delle domande presentate. «Nel 2012 e 2013 sono state accolte 1711 (617 hanno avuto esito mortale) e 1860 (519) domande», spiega Massimo De Felice, matematico e presidente dell’Inail.

Il percorso per far riconoscere il danno è spesso lungo e difficoltoso perché «le domande di indennizzo sono accettate solo se il lavoratore è in grado di provare l’origine professionale della malattia sorretta da presunzione legale», sottolinea Elisa Rebecchi dell’Inca-Cgil a Milano. «In parole povere deve provare di essere stato esposto a lavorazioni a contatto con l’amianto e il tipo di malattia deve rientrare in quelle tabellate, cioè riconosciute, dall’ Inail». Da qui l’onere della prova a carico della parte offesa e il decesso, come nel caso di Angelo Manzoni, spesso arriva prima della certificazione.
L’Inail potrebbe quindi sembrare in conflitto di interesse in questa duplice veste di controllore e di compensatore del danno. «L’Inail è uno strumento dello Stato», sottolinea De Felice. «I suoi comportamenti sono definiti dalla legge e la discrezionalità è ridotta; completamente assente è la finalità del “fare profitto”; l’obiettivo unico è il perseguimento del bene pubblico». «Generalmente le domande non sono mai accettate in prima istanza dall’Inail», osserva Michele Michelino del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio a Sesto San Giovanni a Milano, «costringendo quasi sempre il lavoratore al ricorso in sede amministrativa o giudiziaria». Sollecitato da Wired, l’Inail ha rifiutato di divulgare il numero ufficiale dei ricorsi, ma per chi è affetto da placche pleuriche, asbestosi, tumori del polmone, altre neoplasie come il tumore della laringe potremmo dire: oltre il danno, la beffa. L’Inail ha annunciato che nelle prossime settimane consegnerà alla stampa il quinto rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi, che raccoglie anche le segnalazioni di quelli non causati da esposizione professionale. De Felice, in controtendenza con le previsioni degli oncologi dell’Aiom, è ottimista sull’incidenza dei tumori da amianto: «I dati raccolti dai centri operativi regionali mostrano un tasso di incidenza di mesotelioma nel nostro paese di 3,5 casi per 100mila residenti negli uomini e 1,3 casi nelle donne. Siamo nella fase di maggiore occorrenza della malattia ed è presumibile una riduzione dei tassi nei prossimi anni».

Al di là dei modelli di previsione epidemiologici, resta l’evidenza che ai cittadini è ancora negato l’accesso a dati certi sull’esposizione residenziale all’amianto. La filiera della raccolta dati effettuata da Province e Regioni e supervisionata dal ministero dell’Ambiente sì sta dimostrando poco trasparente, anche se il decreto sulla trasparenza del governo Monti (33/2013) e la legge 195/2005 sull’accesso all’informazione ambientale imporrebbero la divulgazione. «La bonifica dell’amianto rappresenta un’attività prioritaria per il mio ministero e c’è una sezione dedicata a queste informazioni sul nostro sito, ma abbiamo riscontrato delle criticità rispetto alla pubblicazione integrale dei dati raccolti dalle Regioni», ammette il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, «per vincoli di privacy (cioè: nomi, cognomi e indirizzi dei proprietari dei siti oggetto di bonifica). È un’attività che richiederà tempo ma che ci impegniamo a portare avanti: il controllo civico è uno strumento di accelerazione degli interventi».

(L'ex-Fibronit di Bari - Foto: Emanuele Cremaschi)

(L’ex-Fibronit di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

Anche a livello locale i problemi di trasparenza si fanno sentire.«Abbiamo richiesto più volte i dati su Bari, senza ottenere risposta dalla Regione», dichiara Gianluca Cesari, presidente dell’Associazione esposti amianto di Bari. Vent’anni fa, Cesari fu uno dei primi cittadini che denunciò lo stato di abbandono e di pericolo dei 100mila metri quadrati dello stabilimento della Fibronit, che nonostante sia in via Caldarola, una delle aree più trafficate di Bari a contatto con i popolosi quartieri di Japigia, Madonnella e San Pasquale, mostra ancora quintali di fibre interrati nel perimetro dell’azienda.

Amianto

(Gianluca Cesari, presidente dell’associazione esposti amianto di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

«A differenza di Broni, qui la fabbrica cessò la produzione nel 1985, anche sotto le pressioni degli operai che avevano già scoperto negli anni ’70 gli effetti dell’asbestosi e della silicosi, che portò alla morte di 350 lavoratori». Oggi la vernice blu inertizzante stesa durante le operazioni di messa in sicurezza di emergenza nel 2007 sta lentamente sbiadendo.

Il ministero dell’Ambiente ha confermato lo stanziamento di 568mila euro per completare la bonifica, ma la demolizione, che doveva partire l’anno scorso per lasciare spazio al Parco della Rinascita, non sembra imminente nonostante intorno all’area svettino diversi grattacieli. «Anche qui come a Casale, bisognerà sigillare i terrapieni che si innalzano di qualche metro dal piano campagna, dove sono contenuti gli scarti di lavorazione dei manufatti in cemento-amianto che arrivano fino a cinque metri sotto terra». A Bari la battaglia contro l’amianto si combatte anche in tribunale. La procura ha disposto un’indagine epidemiologica che abbraccerà gli ultimi 50 anni degli stabilimenti di Modugno della Bridgestone, per accertare le cause dei decessi e delle malattie contratte dai lavoratori. Quello di Modugno è uno degli oltre quaranta processi sparsi tra decine di procure. A livello nazionale ci sono però alcuni segnali di cambiamento. Il processo Eternit, concluso con la prescrizione del reato di disastro ambientale, ha avuto l’effetto di accendere i riflettori sul ritardo nelle bonifiche di sette dei 12 siti di interesse nazionale.

«Il lavoro per eliminare l’amianto dall’Italia sarà lungo e inevitabilmente minuzioso», avverte il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. «Oltre ai fondi per Casale, abbiamo sbloccato i fondi per Bagnoli che riceverà circa cinque milioni e 250mila euro per il 2016 e altrettanti per il 2017. Tra gli altri 60 milioni di euro in tre anni, 19,2 milioni vanno alla Lombardia per Broni, 14 milioni e 600mila euro al Piemonte per Balangero, 13,6 milioni per Emarese (Val d’Aosta), 12 milioni per il sito di Biancavilla in Sicilia, e i 568mila euro per l’area Fibronit di Bari. Per il futuro stiamo pensando ad altri tipi di misure, anche usando la leva fiscale, che facilitino i microinterventi, le migliaia di smaltimenti di pannelli, tettoie, coperture da rimuovere che sono sparse nelle nostre città e nei capannoni delle aziende».

Amianto

(L’interno dell’ex-Fibronit di Bari – Foto: Emanuele Cremaschi)

Il governo italiano, inoltre, ha inserito nella legge di stabilità il comma 116 che prevede l’estensione del Fondo nazionale amianto ai familiari degli esposti o per “esposizione ambientale comprovata”. «È un passo avanti. Ma siamo ancora lontani dal sistema francese che riconosce anche l’esposizione ambientale dei cittadini e dove il risarcimento è in carico dell’istituto nazionale di previdenza», osserva Nicola Pondrano, presidente del Fondo nazionale amianto.

Resta il fatto che a 23 anni dalla legge 257/1992 che ha bandito l’amianto, le bonifiche sono al palo, la mortalità aumenta e manca un piano per il controllo dei costi sociali e ambientali. Mancano inoltre dati epidemiologici aggiornati, che sappiamo in preparazione da parte dell’Istituto superiore di Sanità. Ma manca soprattutto un vero Piano nazionale amianto, annunciato l’8 aprile 2013 dall’ex ministro della Salute Balduzzi proprio a Casale Monferrato, ma arenatosi per mancanza di fondi in un cortocircuito di responsabilità tra le istituzioni.
Il fronte più grave è però quello locale: i ritardi nel varo dei piani regionali amianto impediscono di identificare gli edifici che devono essere bonificati con estrema urgenza. Proprio il caso di Broni ci ricorda come, tra le massime priorità, ci dovrebbero essere le 2000 scuole con coperture e pareti in eternit sparse in tutto lo stivale dove, secondo il Censis, 342mila ragazzi sono esposti ogni giorno al rischio amianto. Perché, come insegnano all’asilo Verdeblu di Casale, «senza memoria, non c’è futuro».
Chiedi trasparenza sull’amianto in Italia. Firma la petizione#AddioAmianto su Change.org

Amianto, la fibra killer che uccide otto italiani al giornoultima modifica: 2015-04-07T18:52:57+02:00da weefvvgbggf
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